A proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare? Come no: una bella pizza. Quale vuoi? Ma soprattutto, quanto la vuoi pagare? Devi scegliere: team Flavio Briatore o team Gino Sorbillo.
La battuta di Totò, si sa, non era solo una battuta. Se c’è una cosa politica, è il cibo. Eppure la politica tentiamo in tutti i modi di cacciarla fuori dalla porta: per non cadere in depressione, costretti come siamo a scegliere tra due destre, quella capitalista, quella dei banchieri e dei sacrifici a senso unico; e quella populista, quella della retorica terra terra e delle promesse impossibili da mantenere. Sennonché, la politica minaccia di rientrare dalla finestra, sotto forma di metafora. O sotto forma di pizza.
Breve recap, casomai siate stati chiusi in un bunker negli ultimi giorni. Flavio Briatore è stato accusato di vendere troppo cara la margherita nei suoi locali Crazy pizza: 15 euro. Per rispondere, ha argomentato che per essere buona, la pizza, dev’essere fatta con materie prime di qualità, insinuando che chi la vende a poco la fa con roba di merda. La provocazione ha triggerato i pizzaioli tradizionali, soprattutto ovviamente quelli di Napoli. Che hanno manifestato sdegno ufficiale; e non solo: pe’ se mett’a coppa, come si dice da quelle parti, il noto pizza star Gino Sorbillo ha organizzato una distribuzione gratuita di pizze.
Mo, veramente dobbiamo scegliere a chi dare ragione? Io mi rifiuto. Perché l’argomentazione di Briatore contiene un fondo di verità: se si risparmia sulle materie prime la pizza (come qualsiasi altro cibo) non può venire buona. Senza tener conto che il food cost non è tutto: ci sono le spese per i locali, e anche quelle rientrano nell’esperienza del cliente (un cesso rotto, una tovaglia sporca fanno sembrare meno buona anche la pizza migliore del mondo); ci sono le spese del personale, se lo si vuole tenere in regola e pagare il giusto (altro ambito in cui la tradizione meridionale non dà proprio il buon esempio, diciamo).
Il punto è che Briatore bluffa: perché sa benissimo che la verità è un’altra. La verità è che lui non vende pizze, o tartufi: Briatore vende Briatore. Non è che i clienti di Crazy pizza vanno lì per la qualità della margherita, o della bufalina (25 euro). Sarebbe come a dire che vanno al Billionaire per la creatività del dj, o per l’originalità dei cocktail. Ci vanno per far parte, o sentirsi parte, di un’élite, di un jet set: supercafonal quanto si vuole, ma pur sempre esclusivo. Il pricing – cioè la teoria e la pratica tesa a stabilire i prezzi su un menu – qui dimostra in tutta la sua evidenza di essere uno strumento di marketing, non di gestione economica: altrimenti 50 grammi di mozzarella non farebbero lievitare il prezzo di 10 euro tra la margherita normale e quella con la bufala.
Ecco perché la parte di Briatore mi ricorda la destra capitalista: formalmente inattaccabile, raziocinante, anche giusta; sostanzialmente carnefice. È la destra dei banchieri, quella al potere oggi: quella di Mario Draghi e prima di lui di Mario Monti. Quella che dice “ce lo chiede l’Europa” e “abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità, ora dobbiamo fare i sacrifici”. Salvo poi chiedere i sacrifici a chi già sta con le pezze al culo.
Dall’altro lato, i pizzaioli napoletani. I miei amati conterranei. Che come al solito cadono nel tranello. Mi sembra quasi di sentirli: Ah sì, tu dici che una pizza non può costare 4 euro? E noi te la regaliamo proprio, t’a chiavamm’ ‘nfaccia.
È un atteggiamento che ha l’apparenza di essere popolare: la pizza è alimento del popolo, deve essere accessibile al popolo, deve costare poco. Ma non è altro che populista: nasconde il problema facendo finta che non esista, trucca le carte. Perciò mi ricorda la destra populista: quella del Movimento 5 stelle – almeno fino a poco fa, ora non a caso sta implodendo perché è passato al governo, all’altra destra – quella dei Salvini e delle Meloni. Quella che promette panis et circenses, come ha sempre fatto: lavoro per tutti, allegria, bagordi. È facile scatenare entusiasmi così: chi, potendo scegliere, non vorrebbe avere tutto pagando poco (o niente)? Ma sono promesse impossibili da mantenere, e si sa già da prima: questa la disonestà.
Visto che abbiamo iniziato con Totò, chiudiamo con un altro grande comico napoletano: Paolo Sorrentino. Ve lo ricordate il titolo di quel suo romanzo, Hanno tutti ragione? Beh, qui hanno tutti torto.