Qualche anno fa ero in ferie a Marsiliana, in Maremma; all’arrivo in agriturismo il proprietario, nell’elencarci la sfilza di locali consigliati, ci parla di una rinomata pizzeria, nella quale figura l’indiscusso vincitore del campionato del mondo, uno dei tanti vincitori di campionati del mondo della pizza.
Lo stesso anno, vengo invitato da un amico a provare la pizza di un suo caro conoscente.
“Devi assolutamente andarci e dirmi la tua, ha vinto il campionato del mondo della pizza!”
E te pareva.
Bazzicando su YouTube, scorgo un video di due professionisti napoletani, campioni del mondo in anni differenti.
Terrificato, esco di casa per andare a lavoro; a pranzo i colleghi mi portano dal RossoPomodoro della zona.
“Buona vero? Lo sai che con loro collabora il pizzaiolo campione del mondo?”
Basta, vi prego.
Ma quanti diamine di campionati ci sono?
10 a 1 che tra i vostri parenti c’è un vincitore di un’edizione a caso, a meno che non conosciate il cugino dell’amico dello zio che tra i suoi fratelli ha un fenomeno che ha sbancato in diretta mondiale più di una volta.
Ufficiali, non ufficiali, eventi locali, fiere e sagre; basta metterci l’aggettivo mondiale ed ecco che l’ambiente diventa saturo di campioni.
Come se il mondo della pizza non fosse già abbastanza carente di fantasia, di idee, di coerenza e professionalità; ogni giorno nascono (e falliscono) pizzerie copia, montati dalla testa dura, ancorati alle tradizioni o maniaci del canotto, e ogni giorno dieci di loro vengono eletti campioni mondiali della pizza.
Non staremo un po’ esagerando?
Ma poi, campioni di cosa?
Ogni organizzazione ha innumerevoli categorie, eppure si elogia il titolo come se fosse l’unico esistente nell’universo.
Tra i più rinomati c’è il Trofeo Caputo (Eh si, proprio QUEL Caputo, “Il mulino di Napoli”), che ha visto emergere professionisti come Valentino Libro, Teresa Iorio e Davide Civitiello.
Ci sono il Campionato Mondiale di Pizza Bianca e il Campionato Assoluto, organizzati da API e da Angelo Iezzi. E poi c’è quel Campionato Mondiale della Pizza (ah, la fantasia..) di cui tanto si sta parlando in questi giorni.
La categoria di Napoletana Stg della 28° edizione (svoltasi a Parma gli scorsi 9,10 e 11 Aprile) ha premiato il friulano Lorenzo Collovigh, che ha affrontato la notizia con grandissima sportività.
C’è chi lo ha definito “Lorenzo Lo Spartano”, a buon rendere.
Giusto 6 anni fa questo colorito individuo bazzicava su YouTube con un video (che ad oggi ha ben 33.000 visualizzazioni) nel quale millantava la praticità della mozzarella già sfilacciata, la perfezione con la quale rimaneva “stampata” sulla pizza appena cotta, ma soprattutto il suo impasto da 17 giorni di maturazione.
Esatto, 17 giorni.
Ne abbiamo già parlato, non serve che dica altro.
Del resto siamo sempre lì, tra i 17 e i 170; la leggenda narra che ogni giorno passato in frigorifero Lorenzo Collovigh sconfigga dieci napoletani, fino a rimanere l’unico erede al trono.
A meno che, ovviamente, non si arrivi a quella revoca del titolo (con conseguente cancellazione dall’albo S.T.G.) appena richiesta dal Maestro Pizzaiolo Attilio Albachiara, presidente dell’associazione Mani d’Oro, Patron del Trofeo Pulcinella, due volte campione del mondo nella categoria “Pizza Napoletana S.T.G.” (e te pareva – parte 2) nonché ambasciatore della pizza napoletana del mondo.
Analizzando i filmati dell’esibizione, si è accorto di “Clamorose violazioni del disciplinare S.T.G. durante l’esibizione di Collovigh”, quali ad esempio:
- Manipolazione dell’impasto e stesura della pizza: Collovigh non si è attenuto all’arte di stendere la pizza con lo schiaffo;
- Collovigh non indossava il cappello;
- Collovigh ha utilizzato l’olio in un biberon di plastica senza indicare se l’olio fosse Dop o meno. Inoltre, il disciplinare prevede l’utilizzo della bottiglia o dell’agliara;
- Quantità di olio utilizzata: Collovigh ha utilizzato il metodo “a fontana”, mentre il disciplinare ne impone un cucchiaio.
Benvenuti a Puente Viejo signori, questo è “Il Segreto”.
Sinceramente, l’unico sentimento che provo di fronte a simili eventi è una tremenda noia. A prescindere dalle battaglie territoriali tra spartani e partenopei, a prescindere dal rispetto e dalla collaborazione che è sempre mancata da pizzaiolo a pizzaiolo (a parte qualche raro e fortuito caso), quale dovrebbe essere il senso di elogiare venti campioni l’anno, che generano lo stesso rumore di una gocciolina nell’oceano?
Davvero vogliamo far riemergere la pizza presentata dallo stesso friulano nel 2016, che pare essere uscita dal profondo dei mari tra i tentacoli di un Kraken??
Siamo proprio sicuri che queste competizioni aiutino a valorizzare la figura del pizzaiolo e la stessa pizza nel mondo della cucina moderna?
Volete la verità?
Là fuori è pieno di gente in gamba, pizzaioli capaci, in grado di stupire il cliente con qualità e attenzione.
Persone preparate, consapevoli del prodotto, dell’inutilità del lievito madre sulla pizza o di una maturazione di settimane, e che puntano solamente alla soddisfazione di chi entra ed esce dal proprio locale.
Ah, e nessuno di loro è un campione del mondo.
Game, set, match.