Pizzeria-ristorante, Birraria La Corte è un posto dove vanno i veneziani, e chiunque abiti in una città turistica come Venezia sa cosa questo significhi. Ma la posizione in Campo San Polo, passaggio semi-obbligato per le carovane che vanno da Rialto a San Marco, l’insegna art deco, i tavoli all’aperto e una quantità di coperti enorme per la città lo rendono anche un locale civetta per i passanti. E su questa ambiguità La Corte gioca il suo gioco.
Arriviamo alla Birraria La Corte in una torrida sera d’agosto, dopo aver prenotato l’ormai classico (almeno per la nostra famiglia) tavolo per due e mezzo, munito di seggiolone. Al telefono sono stati di una gentilezza vera, non frettolosa. L’esterno è già quasi tutto preso e c’è la fila degli avventori dell’ultimo minuto per accaparrarsi gli ultimi tavoli; noi ci accomodiamo in un tavolo abbastanza appartato per stare tranquilli, con un bel seggiolone di legno che finalmente è in pendant con il resto del luogo (inutile dire che il 90% dei locali, anche i più blasonati, sfoggia il primo prezzo Ikea). Intorno a noi una famiglia di autoctoni, una coppia di inglesi e una tavolata di gaudenti carte d’argento palesemente ospiti di un noto artista locale. Fa caldo ma è sopportabile.
Il servizio ai tavoli è gestito da giovani camerieri, con grandi sorrisi e buone intenzioni che tracimano dalle mascherine, ma evidentemente un po’ trafelati dal grande afflusso e dalla poca esperienza. Chiamiamo il menu un paio di volte, e quando finalmente cominciamo a sfogliarlo la mia prima impressione è “fermi tutti!” finalmente un ristorante veneziano dove ho già voglia di tornare: il menu infatti propone pochi piatti ma ragionati, tra cui una frittura di verdure di Sant’Erasmo [l’isola che da sempre fa da orto a Venezia] in pastella di pasta madre che ordiniamo subito, ci sono poi piatti di pesce che suonano così: “Bigolo al nero di seppia, tagliatella di seppia e limone candito” e piatti di carne così “carpaccio di filetto di manzo con salsa tonnata e foglie di cappero”, e pure proposte vegane così “insalatina di cuore di bue, spinacetti, anguria e melanzane sott’olio”. Sono quei piatti o tanto bene o tanto male: ti può arrivare uno spaghetto al nero di seppia mediocre, o ti può arrivare il piatto della vita, in cui un paio di ingredienti eccentrici han fatto la differenza.
Inoltre, dalle pizze che vedo arrivarmi intorno, sembra che la lavorazione dell’impasto sia coscienziosa: pizze con un bel colore deciso, un bel cornicione, una dimensione onesta, un profumo tanto interessante quanto il mio appetito. Non è niente in tutto, ma in una città dove vanno via come il pane i panini dell’altro ieri, con l’insalata fiappa, trovare qualcuno che in questa fascia di prezzo si spreme le meningi è una specie di miracolo.
Già: la fascia di prezzo…
La frittura che prendiamo è a 10 euro, e la gran parte dei piatti vanno dai 10 ai 16 euro. La carta delle pizze è divisa in 9 classiche, dai 7 agli 12 euro, e in 9 speciali dagli 11 ai 15 euro. La Marinara, che non ha niente di più che san Marzano dop, origano e basilico fresco costa 7 euro, e la Margherita verace con San Marzano d.o.p., bufala di Agerola ed emulsione di basilico ne costa 9: tutto sommato le pizze classiche hanno un prezzo un po’ alto rispetto a quello che promettono. Decidiamo di assaggiare le speciali: sembrano più sinceramente “della casa” e tutto sommato hanno un costo più onesto.
Prendiamo una Teta con pomodoro ciliegino rosso e giallo, datterino semi-dry, pomodoro cirio secco, bufala campana d’Agerola, basilico croccante, alici di Menaica e capperi per 15 euro e una Stua con pomodoro del Piennolo vesuviano rosso, bufala campana d’Agerola, nduja di Spilinga, cipolla di Tropea stufata, emulsione di basilico per 14 euro.
Il cotè “mah”
C’è sempre un retro della medaglia, e come tutti sanno non sempre è lucido come la fronte. Nel caso della selezione delle birre il marchingegno ben oliato della cucina fa qualche cigolio: alla spina solo birre del birrificio del Doge, un buon birrificio artigianale, per la verità noto a livello nazionale; una collaborazione sicuramente fruttuosa per entrambe le aziende, ma un po’ limitante per l’avventore. Sono felice di sostenere un’azienda del territorio ma considerando quanto conta il terroir nella birra [conta nulla] avrei preferito una selezione più ampia.
Propongono una pils, una lager, una ipa e una blanche; poi ci sono anche 7 birre in bottiglia, ma anche qui tutte dello stesso produttore, e quest’ultima cosa mi stupisce un po’ perché il menu sul loro sito riporta invece una selezione ben diversa, con etichette dal Belgio, dalla Francia e altre etichette italiane: probabilmente quella di puntare tutto su un unico birrificio è una scelta fatta dopo il lockdown.
L’assaggio
La frittura di stagione, anche se la stagione propone solo melanzane e zucchine, è impreziosita da qualche foglia di salvia, ma quello che fatico a descrivere è la mia felicità, nel mangiare finalmente una pastella e non una tempura. L’impressione che ho, però, è che l’aver ordinato l’antipasto abbia fatto andare in coda le nostre pizze, che arrivano circa un’ora dopo che ci siamo seduti.
L’aspetto si conferma invitante, e il primo assaggio si rivela molto goloso: il cornicione è sofficissimo ed elastico il giusto, ma sa un po’ di crudo, sensazione che si amplifica al centro della pizza.
È un impasto con un buon sapore, di quella bontà golosa che ti fa salivare, ma che ti stanca presto perché molto impegnativo per la digestione.
Il condimento della Stua funziona: i gusti sono ben chiari, e la nduja, spalmata assieme alla salsa di pomodoro conferisce quella sensazione piccante fondamentale per alleggerire la pesantezza del tutto.
Infatti nell’altra pizza, la Teta, che non ha nessuna nota piccante, i sapori funzionano meno bene: le alici, i pomodori secchi sottolio, e la quantità abnorme di foglie di basilico fritto sono unti e di conseguenza lo è la pizza, che allappa e che fatico a finire.
È un peccato perché avrei preso un dolce della casa, ce ne erano di molto interessanti, ma, e non mi succede mai, non ce la faccio proprio.
Opinione
La Corte fa una pizza buona, golosa, a volte estrema, con ingredienti curatissimi. A volte vuole strafare ed esagera coi condimenti, così che le pizze diventano difficili da digerire, ma non perché l’impasto non sia a regola d’arte, ma semplicemente per le calorie e i grassi ingurgitati. Per contro, il conto, abbastanza salato, fa ricordare che siamo a Venezia e che qui anche una pizza ha il suo peso specifico, specialmente se mangiata in uno dei campi più belli dell’Isola.
PRO
- Un impasto molto goloso
- Una cena all'aperto in Campo San Polo vale tutto
CONTRO
- Un po' troppa foga nei condimenti
- servizio giovane e poco esperto