Al Grottino di Roma, nel 1995, succedeva una piccola rivoluzione: lo chef-pizzaiolo Tony Vespa si “inventava” una pizza diversa tanto dalla classica romana quanto dalla napoletana, per proporla a una clientela capitolina che sarebbe diventata nel tempo sempre più affezionata. “Né alta, né bassa”: così scrive orgogliosamente delle proprie preparazioni il Grottino, anche adesso che il mondo della pizza ha spesso trasceso le tradizioni per proporre forme ibride sempre più frequenti.
Siamo andati a visitare la pizzeria per scoprire com’è nel 2020.
Il locale
Il locale, comodamente disteso in una strada placida nell’area residenziale tra San Giovanni e Piazza Lodi, si presenta caldo e confortevole; con tutti i crismi del “bel posto” anni ’90: mattoni in cotto e volte a botte da tavernetta, luci calde e quadri di genere alle pareti animano di intimità la grande cantina sotterranea riadattata a sala.
Un plauso va fatto alla capacità di mantenere vivo questo genere d’atmosfera con una manutenzione impeccabile, che lascia sentire a proprio agio senza che si avverta sugli ambienti il peso degli anni. Una squadra di servizio ben addestrata e cortese, sebbene talvolta un po’ naïf e sbrigativa negli approcci, sfreccia per le sale munita di auricolare. Mobilio in legno, apparecchiature semplici e un carrello dei dolci che invoglia al solo passarvi accanto completano l’insieme.
Il menu e i prezzi
Gli antipasti spaziano da una selezione di bruschette ai fritti, per giungere a piatti più sostanziosi (“sfizi di pollo” e verdure in tempura) percorrendo un arco di prezzi che va dai 2 agli 8,5 euro. Ruolo da protagonista è lasciato alla trentina di pizze in carta (dai 6,5 agli 11 euro), tradizionali ma spesso arricchite da qualche spunto sfizioso, alle quali sono da aggiungere due opzioni di pizza fritta. A completare il menù tre primi piatti della romanità e un’eclettica selezione di “proposte alternative” che spazia curiosamente dalla rivisitazione di panzanella, al chimichurri, al nasi goreng indonesiano.
Non particolarmente bene il bere, con tre vie semi-artigianali alla spina (5 euro per 33cl IPA e Saison, 3/5 euro per 25/45cl per la helles tedesca). All’ingresso fa mostra di sé una selezione di bottiglie vintage, soprattutto belghe, che però non vengono menzionate nel menù e lasciano l’impressione di essere più “oggetti di scena” che opzioni di abbinamento.
I piatti
Presentazione inusuale per la bruschetta aglio e olio, una singola e pantagruelica fettona di pane tipo Altamura.
Da rivedere i fritti, con la frittatina di pasta alla carbonara (5 euro) che… Non è una frittatina di pasta, ma una sorta di supplì panato di bucatini un po’ avanti di cottura; che risulta nel complesso pasticciata nei condimenti, sfiorando l’effetto-pappa, oltre che leggermente salata.
Buono l’impasto base della maxi-crocchetta di patate (5 euro), ben fritta e asciutta, e profumata di limone… E che però si perde nel caos delle guarniture aggiunte: fonduta di pecorino, funghi trifolati, piselli e salsiccia, sbattuti lì sulla crocchetta aperta, sono davvero una reliquia degli anni Novanta; e non purtroppo delle migliori.
Le pizze si presentano di diametro medio, sui 25cm o poco più, altezza media con cornicione minimamente pronunciato, cottura sbilanciata (anche se solo su una delle due pizze) su un lato, bruciaticcio, a scapito dell’altro. L’impasto è croccante, fragrante e friabile come quello di una “pinsa” ante litteram, ha buona resistenza al morso lasciando spazio al dente per affondare, non è particolarmente saporito ma sprigiona un profumo, gradevole, di cracker.
Non male la parmigiana (8,5 euro: ma sulla mia ne saranno addebitati 2,5 di “supplemento” per aver chiesto di sostituire il Reggiano con la ricotta salata, alla faccia del food cost), con le melanzane fritte ben integrate a pomodoro e mozzarella, un po’ sotto traccia ma saporite, un po’ peggio la Fiori e alici (8,5 euro) in cui i vegetali veramente ottimi ed esplosivi, e la carnosità delle acciughe, non riescono del tutto a riscattare una base troppo asciutta sulla quale il fiordilatte è stato fatto seccare a mo’ di crostino.
Menzione d’onore per l’ottima Lime Pie (5 euro), con una base cheesecake sapida e avvolgente, una buona crema pasticciera al lime e due dita buone di meringa all’italiana flambata in cima. Viene servita con un caramello che, per una volta, non è un brutto topping da evitare come la peste ma parte essenziale del dessert; capace di bilanciarne la dolcezza e dialogare elegantemente con freschezze e acidità.
L’opinione
Al Grottino è a tutti gli effetti una pizzeria storica di Roma, riuscita a sopravvivere identica a sé stessa, invecchiando con grazia, al trascorrere degli anni. Non varrà forse la pena attraversare la città per recarvisi, ma di certo rimane un indirizzo solido nel panorama urbano, riferimento indiscusso del quartiere e per chi, in un mare di modernità, possa desiderare di rifugiarsi ogni tanto in qualche momento di confortevole nostalgia.
Informazioni
Al Grottino
Indirizzo: Via Orvieto 6
Sito web: www.algrottino.com
Orari di apertura: tutti i giorni 19.30-23, chiuso il Martedì
Tipo di cucina: pizza “né alta né bassa”
Ambiente: intimo e accogliente
Servizio: cortese ma talvolta sbrigativo