‘A Livella me l’avevano segnalata tra le migliori pizzerie di Torino, o comunque tra quelle da provare, e allora un giorno di sole e freddo come solo qui, mi sono avviato verso corso Belgio, poco fuori dal centro. Quello che non sapevo, è che stavo per recensire una nuova apertura: il locale ha appena cambiato gestione, e mantiene della vecchia solo il nome; staff e proprietà si sono trasferiti qui da Balangero, paesino mezzo sperduto nelle valli di Lanzo. Ecco cosa abbiamo trovato, e come ci siamo trovati – considerando quel margine d’incertezza e beneficio del dubbio che sempre è da concedere a un esordio.
‘A livella o La nuova Europa? Il format
Scorrendo la pagina Facebook della pizzeria del paese si nota una certa propensione alla ricerca, sia sugli impasti sia sui topping. Certo c’è una vaga aria naif, perché siamo nel 2020, cose come grano saraceno e alga spirulina non sono più avanguardia ma mainstream, se non addirittura retroguardia nel caso del carbone vegetale. Così come un po’ naif e fintomoderno era il nome: La nuova Europa fa tanto anni 90 e Fabrizio Frizzi – che poi oggi nell’era della retromania, potrebbe pure essere una scelta vincente.
Si intuisce quindi come la giustificata ambizione sia stata quella di fare il salto nella grande città: ma per una serie di fattori, mi è parso che il transito sia ancora in corso. Per esempio: il nome, capisco il timore di non disorientare la clientela locale, ma perché non cambiarlo? (Sullo scontrino c’è il nuovo, nella pagina Facebook entrambi, ma poi c’è anche un’altra pagina, nuova, col nome vecchio. Insomma si fa un po’ di confusione.)
Ambiente e servizio
La pizzeria ‘A livella è in corso Belgio, una di quelle prospettive torinesi che inquadrano la collina di Superga con la basilica sul cocuzzolo. Il locale è messo a nuovo, moderno, né patinato né rustico, soprattutto privo di quegli ammennicoli da vicolo napoletano che caratterizzano tante pizzerie Bellanapoli, Capri e pezzottate simili. Unico riferimento al principe della risata – peraltro ‘A livella non è la più ridanciana delle sue opere – una foto gigante di Totò in un tondo su una parete (in un altro tondo, per dire, una Vespa).
Bello grande, saranno un centinaio di coperti, più altri tavoli nel dehors, che è di quelli ben protetti, a prova d’inverno. Il servizio è sollecito e gentile, è pur vero che a pranzo si era in pochi.
Il menu di ‘A livella
Il menu, inteso come supporto fisico o digitale dove sono indicati i cibi, è una di quelle cose che appaiono legate a un’altra epoca. La copertina rigida in cuoio, le pagine infilate nelle buste di plastica, fanno così ‘900 da indurre meno stupore che tenerezza. Il menu fisico, poi, in tempi di coronavirus è una vera rarità.
Il menu, nel senso di proposta di cibi, è tra le cose in mezzo al guado: si apre con degli antipasti, in maggior parte di pesce, very eighties/nineties. Seguono gli impasti: oltre a quello base (fatto però con una farina di tipo 1) ce ne sono altri 9, dal multicereali alla canapa, dal curcuma e curry alle erbe aromatiche. Dieci impasti dieci, ma stiamo scherzando?
Le pizze: 8 focacce, 3 calzoni, 55 (cinquantacinque) pizze, e 8 contemporanee. Anche qui, troppa grazia: soprattutto a fronte di una varietà e originalità che sembrano mancare – ma che in realtà, ed è peggio se ci pensate, sono solo annegate dalla quantità. Altro discorso per le contemporanee, con più di qualche idea che stuzzica (ma anche con qualche scivolata naif/retro, beccatevi la Poseidone: cozze, salmone, panna, gamberetti, zucchine grigliate, insalata di mare, cestino di gamberi in salsa cocktail e soia. Niente più?). L’idea, anche guardando le foto della vecchia pizzeria di paese, è che si siano persi qualche proposta gourmet per strada, e soprattutto che invece non abbiano voluto abbandonare nessuna delle pizze classiche o pseudo tali. Margherita a 6 euro, marinara a 5, il resto a salire fino ai 12 (la Poseidone a 15).
La carta dei piatti non merita particolare menzione, se non per la spassosissima divisione tra “primi senza panna” e “primi con panna”, non ci credevo. Dolci (“produzione propria”) equamente divisi tra pegni da pagare a Napoli e tradizione locale. Carta del bere ovvia e generica.
Le pizze e i dolci
Indeciso se testare i classici o indagare la creatività, opto per un compromesso. Resto sul basic per l’impasto, mi spulcio per bene le opzioni contemporanee. Scelgo la Zuccotta, non tanto per l’ingrediente di stagione quanto per il salame di turgia, un insaccato locale a pasta fresca e spalmabile, tipo la più nota salsiccia di Bra. Ma la Zuccotto non si può fare, mi dicono, senza meglio specificare il motivo. Mi dirigo sulla Tra terra e fiume (una prece anche per i nomi), attirato dagli accostamenti un po’ tamarri. Dopo qualche minuto, vengo informato che non c’è il pomodorino giallo, va bene lo stesso quello rosso? Va bene – ma non benissimo.
E l’apparenza è davvero tamarra, con le fettazze di salmone del super a coprire quasi tutto, e la salsa di soia col solito disegno. L’impasto non ha nulla della napoletana: cornicione esistente ma per nulla pronunciato, cottura uniforme, leggera biscottatura sotto (l’effetto è quello di una cottura prolungata a temperatura medio-bassa: potrebbe essere voluto, come anche conseguenza del fatto che è pranzo e ci sono pochi clienti). Al taglio, la base risulta spessa un paio di millimetri: a differenza della maggior parte delle pizze fatte in questo modo, però, la lievitazione e la cottura interna sono perfette.
Il topping è dominato dal salmone, la salsa di soia sembra raddoppiare il salato/umami del pesce, i pomodorini stanno un po’ per conto loro, il pesto di rucola rimane tra l’anonimo e il dolciastro. Eppure, miracolosamente, tutto questo produce un risultato gustoso assai: ai limiti del maiale, ok, ai limiti del tamarro, ma non oltre. Gli ingredienti – che sono tanti ma non producono quell’effetto torre spesso fastidioso e più instagrammabile che edibile – si fondono insieme alla perfezione, riportando al palato una girandola di tutti e 5 gusti avvolti in una palma di grasso, ma senza stufare fino all’ultimo morso. E il cornicione, guardato prima con aria di sufficienza, è ottimo per raccogliere un po’ di condimento caduto.
Certi dolci piemontesi o generici sembrano belli, ma io ancora non so di non trovarmi più alla Livella, e quindi pago pegno a Napoli: visto che la zeppola non ha una bella faccia, prendo il babà. E sbaglio perché, al di là dell’incongrua spolverata di zucchero, la pasta è tenace, troppo bagnata da un lato e troppo asciutta dall’altro.
L’opinione
Il conto è sopra i 20 euro, è vero che ho preso una pizza top ma ho bevuto solo un’acqua, e niente sfizi tranne il dolce: ma siamo in linea con la gamma medio-alta a Torino, evidentemente twenty is the new normal da queste parti. La digestione va benissimo.
‘A livella è una pizzeria con buone potenzialità che sconta un po’ di indecisione nelle scelte. Per il momento è una sufficienza abbondante, ma ci sono ampi margini di miglioramento, e i pizzaioli hanno tutte le carte in regola: basta osare.
Informazioni
‘A Livella
Numero di telefono: 011 860 0173
Indirizzo: Corso Belgio 50
Orari di apertura: 12:00 – 14:30 e 19:00 – 23:00. Chiuso il mercoledì, e il sabato a pranzo.
Sito Web: pagina Facebook
Tipo di pizza: moderna
Servizio: buono