Torino è un posto strano, si sa, e la proverbiale riservatezza dei suoi abitanti si riflette anche a livello macro: città piena di tradizioni e novità interessanti, a volte sembra che non sappia pubblicizzarle abbastanza – o peggio, il sospetto è che non voglia. A livello gastronomico, per esempio: è ben nota per certi piatti, ma altri prodotti sono meno famosi oppure, che smacco, lo sono diventati perdendo la riconoscibilità d’origine, confluendo in un generico “tipicamente italiano”. Pure per i locali, a volte gioca a nasconderli: tra le pizzerie, per dire, al di là degli stranoti marchi d’importazione, come Michele e Sorbillo; al di là delle catene artigianali che si sono conquistate il proprio spazio (Berberè, Da Zero, Pizzium, Fra Diavolo); al di là di qualche eccellenza che è giustamente salita alla ribalta nazionale (Sesto Gusto, Patrick Ricci); ci sono delle perle assolutamente nascoste.
Pensiamo per esempio a Bricks, che abbiamo già recensito, sul versante di ricerca e gourmet, o a questo 60 90 Pizza a portafoglio, sul lato più legato alla tradizione, eppure ottima dimostrazione di come sia possibile portarla avanti senza rinunciare né al pop né alla qualità, e senza privarsi di una moderata spinta verso la ricerca.
60 90: storia e significato del nome
60 90 Pizza a portafoglio a Torino si trova al confine tra i quartieri Cenisia e Borgo San Paolo, zona defilata ma non lontana dal centro (poco distante, un’altra ottima pizzeria, Ortiga), e soprattutto alle spalle del Politecnico: il locale infatti è frequentatissimo da studenti universitari, soprattutto a pranzo.
La pizzeria ha aperto a fine 2019 per iniziativa di Stefano Cotza, giovane pizzaiolo sardo, ma con buona esperienza e ferratissimo anche a livello di teoria e storia. L’idea iniziale – un po’ come quella di Uào, ex Uagliò – era quella di recuperare la tradizione della pizza a portafoglio napoletana: un po’ più piccola, ripiegata in quattro, da mangiare camminando o comunque all’impiedi, anche se nelle immediate vicinanze del forno. Street food ante litteram, maneggevole ed economico. Il posto perciò ha giusto due tavolini con sgabelli, sei o sette sedute, che di coperti non si può parlare.
La partenza però è stata subito in salita: dopo qualche mese arriva la pandemia, e ci si deve adattare all’asporto, piegare all’oligarchia del delivery. Ma soprattutto variare i prodotti: dopo poco 60 90 rinuncia all’integralismo della sola pizza a portafoglio, e si mette a fare anche il formato classico, e il mezzo metro. Passata la bufera, il ventaglio dell’offerta resta; quello che invece viene abbandonato, con malcelato rancore, è il legame alle piattaforme.
Ah, il nome: 60 90 sono i secondi, dal minimo al massimo, in cui una pizza tipica napoletana deve cuocere nello spartissimo forno a legna. E qui viene il bello.
Le pizze di 60 90
Come si è detto, le pizze di 60 90 sono proposte in tre formati: portafoglio, classica e a metro (1/2 metro). Sono 12 pizze e 3 calzoni: i gusti sono abbastanza classici, al di là dei nomi fantasiosi (Lucifero, Pelagica, Casara), ma non manca qualche spunto creativo: in particolare spicca la Cecilia, addirittura vegan, con pomodorini olive e scarola fresca su una interessante base di hummus; interessante nell’idea per l’inedito abbinamento oriente/occidente, e nella realizzazione perché le basi che provano ad andare al di là della classica alternativa pomodoro o mozzarella molto spesso sono creme (di zucchine, di zucca ecc.) che dopo la cottura risultano secche, questa invece ha la consistenza giusta.
Ma la cosa più stupefacente è la cottura, perfetta: la pasta è sottilissima (anche se non si fonde con il condimento) e risulta senza punti crudi o gommosi, morbida e succulenta, maculata ma non bruciata. Soprattutto, le pizze sono tutte uguali tra loro. Merito della sapiente gestione del forno e dell’organizzazione standardizzata delle operazioni, del tutto inattesa per una piccola realtà del genere.
Quante volte abbiamo detto, recensendo pizzerie napoletane e aspiranti tali, che le migliori premesse si infrangono nel momento finale, quello della cottura; e che tra tutte le tipologie, proprio lo stile partenopeo è quello che espone maggiormente a rischi anche gli artigiani più esperti: perché lavorando con temperature così alte basta un secondo in più o un centimetro più vicino al fuoco per rovinare irrimediabilmente una pizza. Quante volte abbiamo visto, soprattutto in momenti di stress e caos come il sabato sera, arrivare allo stesso tavolo pizze che sembrano uscite da forni differenti tanto sono diverse: questa bruciata e quella cruda, quasi nessuna giusta.
Niente di tutto questo succede da 60 90, anche se all’apparenza sembra che le fasi della lavorazione siano claudicanti: al contrario, Cotza e la sua giovane aiutante sono una macchina oliatissima, dove ogni movimento e ogni pausa ha il suo senso. Grande tecnica nella stesura, poi le pizze vanno in forno, massimo tre alla volta. Ci stanno effettivamente non più di un minuto e mezzo, ne escono perfettamente cotte, vengono messe sul bancone e a questo punto succedono due cose che sembrano errori: le pizze restano lì per un po’ di tempo invece di essere servite subito, e il forno resta un po’ di tempo vuoto prima della successiva infornata. Si capisce ben presto che sono invece pause studiate: quest’ultima per far riprendere temperatura al forno ed evitare differenze di cottura tra la parte superiore e quella inferiore; riguardo alla prima invece, a spiare bene si nota che prima di piegarle a portafoglio, misurano la temperatura della pizza con un termometro laser, per evitare di darla troppo calda, e ustionare i clienti. Dopodiché il triangolo inserito in un pezzo di carta va in mano chi lo mangia per strada, o in un cestino per chi lo consuma in loco.
Opinione
Eccellente e poco nota pizzeria in stile napoletano, da asporto e “da passeggio” ma con qualche coperto nel locale. Specializzata nel formato mignon della pizza a portafoglio, dà anche alternative più consistenti. Cottura perfetta e gusti semplici ma non privi di creatività. Da visitare, e da tenere d’occhio per il futuro.
PRO
- Le pizze ottime e soprattutto uniformi, senza rischi di difformità random.
- I prezzi abbordabili.
CONTRO
- Locale troppo piccolo, pochissimi coperti. Un contro che non è un contro ma un auspicio: ci aspettiamo e auguriamo un ampliamento.