La pizza romana, mai come oggi, vive una stagione di rinascita. Da umile fazzoletto su cui adagiare prodotti dozzinali, oggi ha una sua propria dignità, una sua narrativa, anche un suo dibattito. Tra i campioni della pizza autoctona di Roma (mi dispiace dirlo, ma per ora lo scenario è esclusivamente maschile) c’è Jacopo Mercuro, che aveva già impressionato positivamente Dissapore durante una visita da 180g Pizzeria Romana a Settembre 2020.
Dopo un anno, una seconda puntata si è resa necessaria per diverse ragioni: la prima, la più evidente, è che quella pizzeria nella sede di Centocelle, dov’è nata, esiste ancora ma è stata ripensata per fare consegna a domicilio e asporto.
Mentre una nuova pizzeria, in zona Villa Gordiani, è divenuta la sede principale di 180g. La seconda ragione, conseguente alla prima, è che questo sdoppiamento ha portato con sé qualche novità, che meritava di essere raccontata.
Il nuovo 180g
Prima di tutto il locale, più grande, più curato, contemporaneo. Ha preso carattere, spazio e luminosità. Lasciando indietro quel mood da vecchia pizzeria romana (un esempio? È sparita la lavagna con le proposte del giorno) per alzare il tiro. Il nuovo 180g è a suo modo, modaiolo. Con i neon, la cucina completamente a vista e quasi a specchio rispetto alla sala, il bagno da foto ricordo, il tavolo sociale ricavato da un espediente architettonico, il bancone (sarà sfruttato di più in futuro? Staremo a vedere), il design del menu, i piatti e le ceramiche, la poesia sullo specchio. E quando dico modaiolo lo dico nel senso più entusiasta nel termine: chi ha detto che a Villa Gordiani la pizza non possa trovare una casa così? Mercuro non lo pensava e quindi ha provato a far evolvere l’involucro oltre che il contenuto.
La pizza e il menu
Passiamo alla pizza. Non è il primo elemento che vi viene incontro in questo locale (ci sono i fritti, ne parleremo). È una pizza su cui si può riflettere molto: sull’ariosità, sull’ottima stesura, sul bordo spazioso, sull’abbondanza degli ingredienti, sull’estrema sottigliezza, di un impasto che quasi sparisce, fa da piano di lavoro agli ingredienti, una pizza che scrocchia ma non si spezza, croccante intorno, più corposa verso il centro. Eppure ho l’impressione che complessivamente queste osservazioni possano risultare sterili agli occhi di un lettore/cliente, che invece noterà l’abbondanza dei condimenti e la capacità di sentirne con prepotenza il sapore, due fattori correlati e amplificati dalla qualità dei prodotti.
L’offerta propone la pizza su due binari: quella sul menu principale, che vede tra le voci la margherita, capricciosa, la crostino, la stracciatella e alici, “la prima” con porchetta, cicoria e bufala e altre ricette della tradizione. Poi un secondo supporto, che sembra un segnalibro e riporta “il rinascimento della pizza romana” insieme ai dolci.
Dicevamo, le pizze del rinascimento sono davvero dei tentativi di portare la pizza romana a un livello di evoluzione ulteriore, degli approcci quasi gastronomici alle pizze che diventano dei pretesti per cucinare, farcire, mixare ingredienti che potrebbero stare qui come su un piatto. È il caso della Burro, Parmigiano e Tartufo, con cremoso di Parmigiano Reggiano 36 mesi e vaniglia del Madagascar, crumble di burro salato, Parmigiano Vacche Rosse, pepe di Sichuan e tartufo. Una pizza corposa, ricca, con un grande sfoggio di sapori. Non nascondo che la soggettività qui può entrare in campo, tipo la mia, che ho portato metà di questa pizza a casa e l’ho mangiata il giorno dopo a colazione (n.b. era ottima).
E ancora la Smashing Pumpkins, una vegana con broccoletti ripassati, crema di zucca Hokkaido, chutney di zucca e agrumi, peperone crusco. Il mio consiglio, se si è fedeli e amanti della tradizione, è quello di scegliere dal menu principale ma di non rinunciare ad assaggiare queste opzioni, magari dividendole. La pizza romana non ha fatto ancora il passo nella direzione della degustazione, presentandosi al tavolo già spicchiata e ideale per la condivisione (salvo il caso delle pizze dolci, che sono difficili da mangiare in solitaria). Questo potrebbe essere il caso, o almeno il punto di partenza. Di certo c’è che io ho mangiato una pizza e mezzo, una margherita e bufala e una burro e parmigiano: insieme hanno restituito due facce della stessa medaglia. Una pizza più rassicurante, una più stimolante.
I fritti
Sui fritti si è detto molto, più che altro si è sbavato perché anche qui siamo lontani dal mondo della friggitoria tradizionale unta e scipita, anche nella presentazione: tra tutti ci sono i sampietrini fritti, celebrazione della golosità oltre che tratto distintivo di Mercuro. Anche qui tradizione/evoluzione nel binomio cacio e pepe o noodles e teriyaki rispettato con successo. Poi ci sono anche i supplì, le bruschette, le pizze fritte e il trancio di pizza al piatto. Insomma c’è molto da condividere o – in seconda battuta – più di una ragione per tornare.
Quello che ruota intorno alla pizza, bisogna riconoscerlo, è di un livello molto alto e non affossa il restante lavoro della pizzeria. Il servizio, gestito con molta competenza, è piacevole fino ad avere una marcia in più. Le birre alla spina sono Baladin, poi la proposta si allarga con alcune lattine dal frigo. Ci sono anche vini, alla mescita e in bottiglia, distillati e caffè specialty per terminare. Lo sforzo per scrivere un nuovo capito è molto grande. Da qui si può solo migliorare.
Opinione
Un’ottima pizzeria romana che sta tentando la strada verso l’evoluzione del genere. Nel rifacimento ha guadagnato parecchi punti, mentre alcuni capisaldi, coma la pizza e i fritti, rimangono fedeli alla qualità.
PRO
- Varietà di pizze per tutti i gusti (dai tradizionalisti agli sperimentatori)
- Carta dei fritti spesso in aggiornamento e molto golosa
- Servizio e offerta coerente con un locale di alto livello
CONTRO
- Alcuni condimenti potrebbero risultare azzardati. Se si è amanti della tradizione, meglio evitare le pizze speciali (o al massimo optare per la condivisione)
- Un sito con un menu online, è una preghiera