L’Opa di Tel Aviv è finito nell’occhio di World’s 50 Best: il ristorante israeliano, incastonato a pochi passi dal colorato mercato delle spezie della capitale, si è infatti aggiudicato il premio One To Watch (che potremmo grossolanamente tradurre in “il locale da tenere d’occhio”, o “il locale più promettente”) nel contesto della classifica dedicata al Medio Oriente e all’Africa del Nord, giunta quest’anno alla sua seconda edizione complessiva. Chef Shirel Berger, che tiene ben saldo il timone della cucina, è di recente stata intervistata da 50 Best in quella che potremmo definire una lunga ma interessante immersione nella sua storia e filosofia gastronomica.
L’occhio del mondo sull’Opa di Tel Aviv – e guai a chiamarlo ristorante vegano
Una sala da pranzo ricavata da un vecchio magazzino riconvertito, la luce solare che invade ogni angolo, mobili in legno e lampade che pendono pigramente dal soffitto – il biglietto da visita dell’Opa cozza nettamente con la natura più tipicamente caotica della città. “Adoro questa dissonanza tra il mercato, la nostra strada e Opa” ha commentato a tal proposito Berger. “Mi fa impazzire: cammini da una delle strade più brutte di Tel Aviv a questo mondo pulito e minimalista”. Minimalista, già – non è un aggettivo a caso: la stessa Berger lo utilizza con una certa consapevolezza, perché come spiega “non volevo togliere nulla all’esperienza del cibo”.
Il cibo è protagonista indiscusso, in altre parole. Full stop. La cucina è a base vegetale, e il protagonista indiscusso è il menu degustazione da dieci portate che declina secondo la creatività dello chef una vasta gamma di piante locali. “Sono totalmente affascinato dall’infinità del regno vegetale” commenta Berger. Un menu del genere, con materie prime di questo tipo, è naturalmente legato alla generosità di ogni stagione, ma la chef fa del suo meglio per assicurare la presenza fissa di alcune delle sue creazioni più acclamate.
La seconda parola d’ordine? Sostenibilità. Gambi, scarti, scorze – tutto trova un utilizzo se declinato con la fantasia; e soprattutto tutto proviene dagli sforzi di agricoltori locali e su piccola scala. “Per questo non dico che Opa non è un ristorante vegano” insiste chef Berger. “Puoi essere vegano e importare comunque prodotti che vengono abusati e sovrautilizzati, come il latte di cocco. Una volta che ti avvicini a ciò che sta crescendo nel tuo Paese, allora ecco che stai davvero aiutando l’ambiente e riducendo le “miglia alimentari”, gli sprechi e l’inquinamento”.
Una cucina – o una filosofia – che è fondamentalmente una lettera d’amore alla biodiversità locale, e che ha “contagiato” anche l’aspetto stesso del ristorante – tanto che il tetto del locale è stato trasformato in un orto urbano.
E gli sprechi? Berger ha una risposta anche per questo capitolo. “Durante il Covid siamo stati chiusi per tre settimane” racconta “stavamo coltivando una grande quantità di verdure e avevamo così tanti prodotti freschi, ma nessuno da sfamare”. Ecco l’idea di creare la cosiddetta dispensa dell’Opa: il team ha iniziato a conservare e a far fermentare la frutta e la verdura in eccesso, per poi sperimentare con i nuovi sapori. Una tavolozza di ingredienti tutta nuova e soprattutto amica dell’ambiente: una doppia vittoria.