Negli Stati Uniti, poi in Europa, al punto che ormai quasi ce ne siamo del tutto abituati, tra i ghiacci dell’Antartide e ora anche (e soprattutto) nel latte crudo a stelle e strisce. Continua dunque a imperversare il virus dell’influenza aviaria: vale la pena ricordare che l’attuale stagione epidemica sta di fatto facendo seguito a quella che è stata riconosciuta in maniera unanime dalla comunità scientifica come la più grave di sempre, ventilando anche il rischio – remoto, certo, ma pur sempre esistente – di una potenziale nuova pandemia.
Un secondo capitolo, se così vogliamo definirlo (anche se i nostri lettori più attenti non mancheranno di farci notare che parlare di capitoli, misura per definizione finita e precisa, è piuttosto ingenuo), che ha costruito e ampliato le basi del primo: dai contagi che hanno ormai abbondantemente coinvolto il mondo dei mammiferi (recente, ad esempio, è la notizia del primo orso polare morto proprio per influenza aviaria) ai casi negli esseri umani che cominciano a preoccupare per le modalità di contagio e che fanno presagire il passaggio da uomo a uomo.
Influenza aviaria nel latte: i consigli delle autorità sanitarie
Questa, per vostra comodità, è l’impalcatura contestuale in cui ci stiamo muovendo. I più recenti aggiornamenti vedono, come brevemente accennato in apertura di articolo, il virus dell’influenza aviaria H5N1 presente “nel latte crudo negli Stati Uniti”, anche se è bene notare che i test “preliminari mostrano che la pastorizzazione uccide il virus”.
Alla luce di quanto appena visto il consiglio dell’Organizzazione mondiale della sanità, ribadito nel corso delle ultime ore dal suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, è puntuale e, per certi versi, forse addirittura scontato: “Il consiglio permanente dell’Oms in tutti i Paesi è di consumare latte pastorizzato“.
Ghebreyesus è intervenuto durante il periodico briefing con la stampa sui temi sanitari più caldi a livello internazionale. “L’epidemia di influenza aviaria H5N1 tra i bovini da latte finora ha interessato 36 allevamenti di mucche da latte in nove Stati” ha spiegato il direttore generale dell’Oms. “È stato segnalato un solo caso umano, almeno 220 persone sono monitorate e almeno 30 sono state sottoposte a test. Finora il virus non mostra segni di adattamento alla diffusione tra gli esseri umani, ma è necessaria una maggiore sorveglianza”.
Vale per di più la pena notare che, sempre stando alle dichiarazioni di Ghebreyesus, al momento il rischio legato all’influenza aviaria H5N1 è da considerarsi come “basso” per quanto concerne la popolazione generale e compreso tra “basso” e “moderato” per chi invece si trova esposto ad animali infetti.