Vino italiano: in crescita il consumo in Russia (nonostante le sanzioni)

Si torna a parlare di vino perché pare che il consumo di quello italiano sia in crescita in Russia. Ma come, che fine hanno fatto le sanzioni? Beh, c'è una spiegazione

Vino italiano: in crescita il consumo in Russia (nonostante le sanzioni)

A dirlo non siamo noi, bensì i dati dell’Istat: in Russia nel 2022 è cresciuto il consumo di vino italiano, segnando un +16% a valore per un totale di circa 172 milioni di euro. Al che giustamente vi starete chiedendo una cosa: ma come ha fatto il consumo di vino italiano a crescere in Russia se qui ci sono le sanzioni? Beh, la risposta è semplice: non tutti sanno che le sanzioni riguardano solamente i vini che costano più di 300 euro.

Perché il vino italiano va tanto in Russia?

mosca

La storia la conosciamo tutti: da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, ecco che il paese di Putin è stato sottoposto a diverse sanzioni e blocchi commerciali, fra cui, in teoria, anche quello del vino (ricordate il pasticcio scoppiato con le presunte bottiglie di vodka regalate da Silvio Berlusconi a Putin?). Solo che le sanzioni e il blocco relativo al vino sono valevoli solamente per le bottiglie che costano più di 300 euro. Questo vuol dire che bottiglie di vino inferiori a tale prezzo (praticamente la maggior parte di quelle prodotte in Italia) possono tranquillamente essere esportate e commerciate in Russia.

Il che è logico, se ci si pensa bene: le sanzioni volevano essere delle misure punitive contro oligarchi e magnati russi, non contro la fascia più debole della popolazione russa.

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Nel frattempo Edoardo Freddi della Edoardo Freddi International (trattasi di una società che esporta ogni anno in più di cento paesi qualcosa come 33 milioni di bottiglie) ha spiegato che le vendite di vino italiano sul mercato russo stanno andando abbastanza bene. Anzi: nonostante la situazione sia alquanto tesa e confusa, le vendite stanno pure andando meglio del previsto.

Secondo Freddi, c’è stato un lieve calo a volume, compensato, però, da una crescita a valore. Si parla, infatti, di un posizionamento al ribasso. La classe ricca del Paese, quella che beveva vini premium di fascia alta, o è scappata dal paese o non può più comprare i suoi vini preferiti (quelli sopra i 300 euro, per intenderci). Inoltre la classe media ha registrato un calo del potere di acquisto, anche a fronte di un tasso di inflazione del 7%.

Il che tradotto vuol dire: in Russia, per via delle sanzioni e della situazione, girano meno bottiglie di lusso. Per contro, però, girano più vini da grande distribuzione. Scendendo un po’ più nel dettaglio, Freddi ha aggiunto che dal febbraio 2022, i venditori russi si sono concentrati sui “vini entry level”: Barolo, Brunello, Amarone e Super Tuscan rimangano vini molto amati dai russi, ma stanno anche scoprendo vini di fascia meno cara come il Lambrusco, il Prosecco, l’Asti, il Chianti, il Montepulciano, il Pinot Grigio o il Primitivo di Puglia.

Pare che da poco vada anche tantissimo il Vermentino che sta prendendo il posto del Lugana. E alla richiesta se sia etico continuare a commerciare con un Paese invasore, la risposta la potete immaginare: secondo Freddi, non stanno vendendo prodotti pericolosi che possano essere utilizzati per scopi bellici. Loro non vendono armi e inoltre vendono prodotti destinati al popolo russo, non alla classe più ricca.

Che un po’ è la stessa giustificazione che altre aziende ancora attive in Russia stanno dando alla medesima domanda, vedi Heineken e Pernod Ricard.