Il cammino degli icewine è tanto affascinante e unico quanto delicato: come potrete immaginare, infatti, per ghiacciare l’uva sulla vite è imperativo che le temperature raggiungano un certo livello e che lo mantengano per un periodo di tempo piuttosto prolungato. Un passaggio apparentemente semplice ma che, nell’era del grande cambiamento climatico, potrebbe diventare sempre più raro – fino a compromettere radicalmente l’esistenza di queste particolarissime etichette di vino. Basti pensare, infatti, che in Germania la vendemmia 2019 dell’eiswein (la denominazione tedesca dei più noti icewine canadesi) è fallita per la prima volta nella storia in tutto il Paese perché le temperature non sono riuscite a raggiungere i -7° Celsius necessari a ghiacciare i grappoli.
Un’anomalia preoccupante che, di fatto, va di mano in mano con le rilevazioni del Copernicus Climate Change Service, che sottolinea come l’inverno europeo 2019/2020 sia stato il più caldo in assoluto dalle registrazioni (datate 1850), con una temperatura media superiore di 3,4 gradi Celsius la media 1981-2020. Aggiungiamo, ora, il fatto che l’estate 2022 passerà alla storia come la più secca degli ultimi 500 anni, ed ecco che le anomalie cominciano a trovare risonanza l’una nell’altra e ad affermarsi come costanti.
“È una categoria in via di estinzione” ha commentato Sebastian Thomas, direttore e buyer del fornitore londinese di vini pregiati Howard Ripley, riferendosi agli icewine. “Negli anni ’90 eravamo soliti procurarci galloni di questo prodotto e venderlo a prezzi molto bassi, ma temo che i tempi dell’icewine liberamente disponibile siano finiti”. Così, mentre queste regioni, che hanno imparato a declinare i rigori delle temperature traendone prodotti davvero particolari, guardano nervosamente la colonnina di mercurio sperando che non salga troppo; altre attendono con ansia il cosiddetto “disgelo”: ci riferiamo al Regno Unito, che si prepara a imporsi come nuovo polo del Pinot Nero.