All’orizzonte si stanno ammassando nubi tempestose, ma parlare di “fulmine a ciel sereno” significherebbe peccare di ingenuità. Un breve salto sulla nostra macchina del tempo ci porta a fine agosto, quando la vendemmia 2023 era ormai prossima al semaforo verde: “Il 2023 è uno degli anni peggiori di sempre per il vino italiano“, scrivemmo come titolo di un articolo. La nostra analisi, come potrete intuire considerando il periodo dell’anno in questione, si basava sulle stime inerenti alla mole produttiva del vigneto italiano, messo in forte crisi dall’imperversare del maltempo – ghiaccio e fuoco; grandine e siccità – e della peronospora.
Numeri alla mano, si prospettava una delle vendemmie più povere (lo ripetiamo, in termini prettamente quantitativi) di sempre – prospettive che, a onore del vero, hanno poi trovato un pieno compimento nelle settimane successive, con mutilazioni produttive importanti un po’ in tutto lo Stivale. Uno scenario che gli stessi produttori non hanno esitato a definire “tragico”, e che a oggi riecheggia nelle più recenti dichiarazioni dell’Unione Italiana Vini: “Rischio corto circuito per il vino italiano in questo 2023″ si legge in un comunicato, “che si sta manifestando come il più complicato degli ultimi 20 anni”.
La vendemmia 2023 in numeri, secondo l’UIV
Perdonateci la lunga premessa, ma siamo dell’idea che per comprendere al meglio il discorso fosse necessario disporre il contesto in cui ci stiamo muovendo. Ma torniamo a noi, e alla lettura dell’Unione Italiana Vini: numeri alla mano, le stime produttive della vendemmia 2023 si stanno rivelando ancora più basse di quanto anticipato nei mesi scorsi (-12%), con buona parte del nord – Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia in particolare – e diverse regioni del Sud – Abruzzo e Sicilia su tutte – che hanno fatto registrare raccolte inferiori a quanto preventivato a causa di “eventi grandinigeni e del caldo persistente, che ha asciugato le uve”.
La vendemmia 2023, in altre parole, sarà inevitabilmente segnata da una scarsità complessiva di prodotto; eppure il mercato del vino sfuso pare paralizzato con un il numero di contrattazioni che fa registrare un calo di addirittura il 40% sulla media tradizionale, con prezzi che di conseguenza registrano forti pressioni a salire. La lettura dell’Unione Italiana Vini, in questo caso, si concentra sulla posizione vulnerabile della parte industriale, minacciata dall’imperversare della speculazione.
“A causa dell’incertezza dettata dalla complicata situazione vendemmiale in questo frangente di mercato abbiamo da un lato quotazioni di sfuso che tentano, con poco successo, un comprensibile rimbalzo dettato dalla scarsità di prodotto” ha spiegato a tal proposito il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti. “Dall’altro c’è un mercato della domanda, a partire dalla Gdo, che non è disposto ad assorbirne la dinamica e che, anzi, chiede in molti casi la riduzione dei prezzi. Un paradosso, per le imprese del vino, accentuato da un commercio con l’estero in forte ripiegamento”.
“Commercio con l’estero in forte ripiegamento”, già. Secondo i dati inerenti all’export di vino italiano verso l’area extraeuropea elaborati dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly, la tendenza ha ormai raggiunto decrementi tendenziali ormai quasi in doppia cifra nei volumi (-9%) e in recessione anche nei valori (-6%). Spicca, tra i segni in rosso, la contrazione degli Stati Uniti, primo mercato al mondo, che nel corso degli ultimi mesi sono passati da da -4% (volume) a -12%, con gli spumanti tricolori a -16% e i fermi imbottigliati a -10%.
“Complessivamente, a eccezione della Russia” si legge nel comunicato UIV “tutti i top 12 mercati terzi presi in esame segnano quantità in calo a partire, oltre che dagli Stati Uniti, da sbocchi chiave come Regno Unito (-3%), Svizzera (-10%), Canada (-20%), Giappone (-16%), Norvegia (-13%), ma anche da piazze emergenti come Cina (-27%) Sud Corea (-40%), Australia (-20%) e Brasile (-4%)”.