Valerio Braschi ha deciso che era giunta l’ora di rispondere a una delle domande e critiche più frequenti: quella relativa alla storia dei cappelletti e, più in generale, alle piccole porzioni. Di sicuro tutti lo avrete sentito dire prima o poi: nei ristoranti di fine dining di un certo livello, le porzioni sono piccole, si mangia poco e si esce con la fame. Ebbene, Braschi mette i puntini sulle “i” e spiega che non funziona proprio così.
Valerio Braschi spiega le false teorie sulle “piccole porzioni”
L’ex concorrente di MasterChef Italia ha spiegato quello che dovrebbe essere ovvio, ma che a quanto pare non lo è. I piatti che si vedono sui suoi social, quelli fotografati ad arte, non sono piatti fatti per saziare. O meglio: quel piatto non è studiato per essere mangiato da solo in modo che mangi solamente quello e ti sazi.
Quei piatti fanno parte di un percorso degustativo che, di solito, comprende da 10 a 16 portate. A queste portate bisogna poi aggiungere il pane, le degustazioni di olio, le coccole finali, l’amuse-bouche iniziale… È evidente che si tratta di un percorso lunghissimo in cui anche “le bocche più esigenti e gli stomaci più voraci” escono soddisfatti.
Sarebbe impensabile fare un percorso degustativo di 16 portate con piatti dalle porzioni pantragrueliche in stile nonna la domenica. Pensateci bene: quando si va in un ristorante normale, si mangiano di solito qualche antipasto, un paio di primi, uno o due secondi e il dolce (e questo solo durante eventi, di solito si prende un primo, un secondo e un dolce se va bene, nella maggior parte dei casi si prende un piatto unico). In caso di eventi, parliamo al massimo di 7-8 portate. E già qui se i piatti sono molto abbondanti, di solito il secondo lo si snobba. Figuriamoci se in un percorso degustativo di 16 portate dovessero esserci porzioni gigantesche: arrivi alla quarta-quinta portata e già stai esplodendo, altro che arrivare alla sedicesima.
Comunque sia, ora ci ha pensato Valerio Braschi a fugare tutti i dubbi: le foto che vedete si riferiscono a singole portate di pranzi e cene da 10 a 16 portate. Non bisogna fermarsi al singolo piatto: bisogna valutare l’intero servizio (un po’ come in un articolo non bisogna fermarsi al titolo, ma leggere tutto il pezzo: il titolo non può essere lungo quanto il testo, altrimenti non sarebbe più un titolo).
Oziosamente ci si potrebbe chiedere perché questo pregiudizio sui ristoranti di fine dining continui a imperversare. Molto probabilmente si tratta di voci prive di fondamento che, come spesso accade in questi casi, a furia di essere ripetute a destra e a manca, sono diventate legge di fatto. Anche perché sono abbastanza sicura che chi continua a ripeterle in questi ristoranti non ci ha mai messo piede.