Che tra i piani alti di Starbucks e i sindacati non scorra buon sangue non è di certo un segreto. Basti pensare al fatto che, a pochi giorni dal suo ritorno sulla poltrona di CEO, Howard Schultz non perse l’occasione per aggredire verbalmente un giovane barista che – orrore! – stava conducendo una campagna di adesione a un sindacato in una sede della California. Più recentemente, segnaliamo anche le proteste degli stessi sindacati nei confronti dello stesso Schultz dopo che quest’ultimo, rivelando il programma dei benefici ai dipendenti, aveva sottolineato come questi non sarebbero stati estesi ai punti vendita sindacalizzati. Altri dipendenti che avevano esercitato il loro diritto a formare un sindacato, invece, sono stati semplicemente licenziati: un provvedimento, quest’ultimo, che però ha portato al colosso del caffè qualche problemuccio con il consiglio del lavoro negli USA.
Il National Labor Relations Board (NLRB) ha infatti chiesto a un tribunale di ordinare la reintegrazione dei dipendenti “illegalmente licenziati”, sottolineando come “Senza un provvedimento provvisorio immediato Starbucks potrebbe danneggiare irreparabilmente la campagna (dei sindacati, ndr) a Memphis e inviare un messaggio agghiacciante ai suoi dipendenti in tutto il Paese”. I rappresentati dell’NLRB, inoltre, hanno affermato che Starbucks ha risposto alla volontà di unirsi sotto un sindacato con misure sleali e atte a reprimere l’attivismo dei dipendenti.
Un gruppo di 16 senatori statunitensi, nel frattempo, si è rivolto direttamente al CEO Schultz scrivendogli una lettera in cui lo esortavano a “a cessare gli sforzi per minare le campagne di sindacalizzazione che si verificano nelle sedi dell’azienda e sostenere invece gli sforzi sindacali guidati dai dipendenti a livello nazionale”. Starbucks, dal canto suo, fa orecchie da mercante, sostiene che le denunce sono “false” e “prive di merito” e che il diritto dei suoi dipendenti di formare un sindacato “non li esenta dall’aderire alle nostre politiche aziendali”.