Uno studio evidenzia nuovi rischi di salute per chi mangia carne (ma non tutti sono d’accordo)

Carne rossa, processata e diabete 2 sembrano andare a braccetto. Ecco cosa c'è da sapere, fra chi ci spiega perché e perché no.

Uno studio evidenzia nuovi rischi di salute per chi mangia carne (ma non tutti sono d’accordo)

Torniamo a parlare di argomenti caldi, un po’ per la stagione, un po’ per l’attualità e soprattutto per le reazioni che di solito provocano. Sotto i riflettori i rischi per la salute collegati al consumo di carne, in particolare salumi e insaccati. Il nuovo studio pubblicato questa settimana su The Lancet Diabetes and Endocrinology collega questa categoria di alimenti con insorgenza di diabete di tipo 2. Nonostante l’estensione della ricerca per campioni, raccolta dati e durata dell’osservazione, non tutti sono d’accordo.

Lo studio

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Il nuovo studio condotto dalla Cambridge University in Inghilterra ha una componente chiave: la pazienza. Sono stati analizzati i dati di 1,97 milioni di adulti in 20 Paesi del mondo nel corso di ben 10 anni. L’obiettivo era la correlazione del consumo di carne processata con il rischio di aumento del diabete di tipo 2. Gli scienziati hanno considerato variabili come fumo, alcol, alto indice di massa corporea, sedentarietà e familiarità con la malattia.

Il risultato: per ogni 51 grammi ingeriti quotidianamente (una piccola salsiccia o qualche fetta di bacon) il rischio aumenta del 15%. Di contro, il consumo quotidiano di circa 100g di carne rossa non processata (bistecca) aumenta il rischio del 10%. Le conclusioni: mangiare meno carne rossa e processata diminuisce i rischi per la salute. Le stesse peraltro erano state raggiunte da uno studio americano simile dello scorso ottobre, che consigliava di sostituire la carne con proteine vegetali alternative come noci e legumi.

Perché mangiare carne aumenta il rischio

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Qual è il meccanismo? Lo spiega Nita Forouhi, professoressa a capo dello studio, al New York Times. Le carni rosse (processate e non) tendono a contenere più grassi saturi, a loro volta associati con l’insulino-resistenza. I metodi di cottura per prepararle, di norma ad alte temperature come barbecue griglia frittura, possono causare danni cellulari e infiammazioni correlate all’insorgenza di diabete. Inoltre, aggiunge Forouhi, lo studio ha osservato che chi consuma questi alimenti quotidianamente tende a mangiare molti meno vegetali e fibre.

Un’ulteriore tesi è stata avvalorata da uno studio pubblicato la settimana scorsa su Nature Metabolism. Ovvero, che il ferro EME contenuto in alte dosi nelle carni rosse può contribuire all’insorgenza di diabete di tipo 2. In questo caso sono stati osservati circa 205mila maschi americani nel corso di 36 anni: di questi, 21mila si sono ammalati. Coloro che consumavano più di 10 porzioni di carne rossa a settimana presentavano un rischio aumentato del 26%, oltre a colesterolo e infiammazione.

La questione del ferro EME però resta aperta, spiega Frank B. Hu, professore di nutrizione ed epidemiologia alla Harvard T.H. Chan School of Public Health. Da una parte il collegamento sembra esserci, ma la causa-effetto potrebbe trovarsi altrove. Altre componenti come sodio e conservanti, presenti soprattutto in salumi e insaccati, sembrano costituire un casus belli molto più convincente rispetto all’insorgenza di diabete.

Le voci contrarie

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Ovviamente uno studio del genere non poteva non attirare pareri contrari, seppure isolati. Il primo a esporsi è Duane Mellor, dietista portavoce della British Dietetic Association.  “L’analisi è interessante” concede, citando il metodo incrociato di combinazione dei dati attraverso diverse aree del mondo. Anche se lo studio non ha dimostrato un nesso causale ma soltanto un’associazione tra consumo di carne rossa e diabete di tipo 2, “esiste un meccanismo biologico plausibile” che collega il ferro EME della carne con insulino-resistenza e altri marcatori tipici del diabete.

Tuttavia, dice Mellor, sebbene gli autori abbiano cercato di isolare le variabili collegate allo stile di vita, non sono stati in grado di spiegare quanto questi incidano sull’insorgenza della malattia. “È quindi possibile che l’aumento del rischio associato all’assunzione di carne rossa e lavorata possa essere il risultato dei fattori confondenti di cui l’analisi non ha saputo rendere conto”.

Un’altra obiezione è stata sollevata da Giles Yeo, esperto di obesità alla University of California and Berkeley, rispetto alla qualità e cottura della carne. Yeo parla della necessità di tenere in considerazione il tipo di insaccato, e propone distinguo tra, ad esempio, un Prosciutto di Parma (anche se viste le inchieste avremmo da battere un ciglio per la “qualità” effettiva) e un insaccato da discount. E ancora si esprime sulle differenze tra i tipi di preparazione (“gli autori non hanno fatto distinzione tra un pollo fritto e un pollo arrosto cucinato in casa”).

C’è una cosa da dire però. Va bene la ricerca, va bene il dibattito e i doverosi distinguo. A prescindere dalla chimica, si parla sempre della stessa categoria. La carne, specie rossa e processata, va limitata per rischi collegati non solo alla salute ma anche al clima, all’ambiente, alla sostenibilità sociale di chi lavora nel settore. E sul tema il mondo scientifico è unanime.