Esperienza obbligatoria da avere sul Curriculum: avere vissuto, per un periodo variabile di tempo ma almeno per un po’, come senzatetto. Siamo a Primrose Hill, nel nord di Londra, e l’idea appartiene ad Adam Simmonds, chef stellato che da ormai quattro anni a questa parte collabora con Soup Kitchen London, organizzazione benefica nata durante i lunghi anni del Covid.
Home Kitchen: un nome che è tutto un programma. Il ristorante impiega sedici individui rimasti senza una casa o a rischio, e come brevemente accennato in apertura di articolo è anche e soprattutto frutto dell’esperienza maturata presso Soup Kitchen London. Ma come funziona?
L’idea della “soluzione doppia”
“Conosci qualcuno che offre lavoro?”. Questa la domanda, semplice ma intrisa di inquieta necessità, che spesso rimbalzava sulle pareti del SKL. Simmonds faticava a crederci: un tale bacino di persone disposte a lavorare, e nessuno pronto a offrire loro una possibilità? La soluzione era nelle sue stesse mani.
Home Kitchen nasce così per offrire una risposta a più problemi. Offrire un posto di lavoro che potesse aiutare i più sfortunati a rimettersi in carreggiata, com’è ovvio, ma anche e soprattutto cambiare la “percezione pubblica molto errata di cosa significhi essere un senzatetto” e tamponare la ormai famigerata carenza di personale nel settore della ristorazione. Ma il posto giusto per una missione così virtuosa è davvero la corte di uno chef stellato?
Simmonds non ha alcun dubbio: “Se puoi cambiare le percezioni nel mondo del fine dining, allora puoi cambiarle ovunque”. Difficile dargli contro. I senzatetto di Home Kitchen sono assunti con contratti a tempo pieno, con rimborso per gli spostamenti e un salario, stando a quanto riportato dal The Guardian, al di sopra della media londinese. Ma non è tutto.
L’iniziativa, è chiaro, è più che virtuosa. Ma per portare avanti un ristorante servono anche e soprattutto competenze: non a caso, infatti, la cucina può fare affidamento su di un capocuoco professionista e la sala su di un direttore generale con anni di esperienza nel settore. Il personale, oltre alla formazione interna, riceverà poi una certificazione di competenze culinarie presso il Westminster Kingsway College.
“Siamo qui per lavorare, per rimetterci in sesto” ha spiegato Jeremy, uno dei camerieri. “Non vogliamo pietà: vogliamo essere trattati come tutti gli altri. Ci è stata data una possibilità che forse non abbiamo avuto nella nostra vita”.