Un’intera città americana vieta gli allevamenti intensivi, ed è la prima volta

Un piccolo passo per Berkeley, un grande passo per il futuro degli allevamenti intensivi: possiamo vederla così?

Un’intera città americana vieta gli allevamenti intensivi, ed è la prima volta

Nel Paese a stelle e strisce qualcosa si muove per rispondere alle sempre più pressanti richieste di bandire gli allevamenti intensivi. Berkeley, in California, è la prima città degli Stati Uniti a vietare la presenza sul suo territorio di quelle che gli americani chiamano factory farms, “allevamenti-fabbrica“. È una goccia in un oceano, che non farà alcuna differenza in termini numerici – anche perché, proprio nella cittadina, di allevamenti intensivi non ce n’è neanche l’ombra – ma siamo fiduciosi perché tutti i grandi cambiamenti iniziano da un singolo passo.

Il piccolo grande passo di Berkeley

allevamenti intensivi

Il termine tecnico negli States è Concentrated Animal Feeding Operations (CAFO), in altre parole aziende che nutrono in spazi ristretti animali destinati all’alimentazione umana o ad altri scopi (come lo sport o l’intrattenimento). Allevamenti intensivi, ma non solo. A Berkeley ora non c’è più spazio per queste realtà, grazie al recente divieto (tecnicamente una ballot measure, una votazione diretta da parte di cittadine e cittadini nell’ambito delle elezioni) di costruire nuove strutture simili.

Gli allevamenti intensivi causano 50mila morti in Italia l’anno, soprattutto in Pianura Padana: l’allarme delle associazioni Gli allevamenti intensivi causano 50mila morti in Italia l’anno, soprattutto in Pianura Padana: l’allarme delle associazioni

Parliamoci chiaro: Berkeley è una cittadina di neppure 119.000 abitanti e sul suo territorio non è presente neanche mezzo allevamento intensivo (l’ultima CAFO, un circuito ippico in cui erano confinati oltre 1400 cavalli, ha chiuso a giugno 2024); l’ovvia conclusione, quindi, è che la proibizione non avrà praticamente alcuna influenza reale sul numero di animali che “vivono” in queste condizioni. Sarebbe sbagliato, però, considerare la misura inutile, data l’inverosimile probabilità che un cambiamento radicale di questo tipo avvenga simultaneamente su larga scala.

Berkeley fa da apripista e non è la prima volta: lo aveva già fatto quando, nel 2017, era stata tra le prime città oltreoceano a vietare la vendita di pellicce. Non è la sola, comunque, a lottare per i diritti degli animali su più fronti nel panorama a stelle e strisce. Sulla questione foie gras, per rimanere in tema food, si erano già pronunciate la città di new York e l’intero stato della California, che ne hanno vietato la vendita.

Il caso di Berkeley è un esempio da seguire in termini di responsabilità cittadina. L’iniziativa è infatti partita proprio dalle persone comuni e dalle associazioni, che tramite raccolta firme e sensibilizzazione hanno permesso un risultato positivo equivalente al 60% degli elettori che hanno votato a favore del divieto. Fra gli enti alla base del movimento vi sono Direct Action Everywhere (DxE) e Compassionate Bay, entrambe californiane ma dall’eco internazionale.