Ultimi in Europa per il benessere dei polli, alla faccia degli allevamenti italiani virtuosi

Il benessere dei polli in Italia è l'ultimo dei problemi. Lo rileva l'analisi TPO sugli allevamenti destinati al fast food.

Ultimi in Europa per il benessere dei polli, alla faccia degli allevamenti italiani virtuosi

Le “galline felici” possiamo pure lasciarle alle favole, o al massimo ai claim pubblicitari. Perché, e per i più sensibili e informati sul tema non si tratta certo di una sorpresa, l’Italia è all’ultimo posto in Europa per quanto riguarda il benessere dei polli. Lo ha rilevato il report annuale The Peking Order (TPO) che analizza le condizioni di allevamento dei polli destinati al consumo nel settore fast food. Nel 2024 ci siamo guadagnati la maglia nera, in barba alle inchieste e al proliferare dell’influenza aviaria.

La valutazione

mcchiken

Dal 2019 il progetto The Peking Order si occupa di analizzare e migliorare la condizione dei polli broiler da allevamento intensivo, rivolgendosi in particolare ai marchi nazionali e internazionali di fast food. Nel 2024 TPO ha raccolto e combinato i dati di 75 aziende da Francia, Romania, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Repubblica Ceca. L’analisi in Italia si è concentrata su 7 aziende: IKEA, Burger King, Autogrill, McDonald’s, Starbucks, KFC, Subway.

La valutazione si basa sugli stessi criteri dello European Chicken Commitment (ECC), e prende in considerazione diversi fattori e variabili che caratterizzano l’allevamento intensivo di polli. Tra questi, densità, razza, arricchimento ambientale, metodi di stordimento, audit di enti terzi. Le aziende vengono analizzate su due piani. Da un parte, gli impegni e obiettivi rispetto alle condizioni di allevamento; dall’altra, la comunicazione dei progressi secondo le linee guida ECC.

I risultati in Italia

Allevamento intensivo polli

Il punteggio, espresso in percentuale, condanna inesorabilmente l’Italia a un ultimo posto rispetto alle altre nazioni analizzate. Con un misero 14 per cento siamo pari con la Romania, con un demerito in più: in un solo anno infatti il calo è stato maggiore, dal 19% italiano rispetto al 17% romeno. In testa alla classifica invece Francia e Germania (36 e 33 per cento) con aziende più virtuose e trasparenti che fra gli obiettivi si pongono garanzia e miglioramento del benessere dei polli.

In Italia invece solo IKEA, unica fra le sette aziende analizzate, ha pubblicato un impegno a diminuire la sofferenza e le cattive pratiche di filiera. Subway addirittura retrocede, mentre per le altre cinque è stasi completa. KFC in particolare resta lontana dalle linee guida, segnalando poco interesse alla questione e mantenendo poca trasparenza. Soprattutto, rileva TPO, è la mancanza di obiettivi a penalizzare la categoria, ponendo l’Italia anni luce dai paesi più virtuosi.

Per quanto riguarda i consumatori, le classifiche servono a poco. Ma è importante che si facciano, e che si sottolineino le criticità e le falle (gigantesche) del sistema. Qualcuno ci penserà la prossima volta che affonderà i denti in una drumstick o un McChicken? Probabilmente no, ma se il messaggio arriva a monte forse qualcosa, prima o poi, cambierà.