Il blitz di protesta che gli attivisti di Ultima Generazione hanno inscenato presso il ristorante di Carlo Cracco in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, se è riuscito in una cosa, è stata quella di far parlare di sé. Se il “purché se ne parli” era l’obiettivo dei cinque individui responsabili del, va detto, pacifico sit-in, sicuramente l’hanno centrato, pur restando le perplessità di quanti non sembrano convinti che l’eguaglianza sociale non passi dall’offrire esperienze fine dining ai poveri.
Interviene Roberto Burioni
Chiunque ritenga che il ristorante di Carlo Cracco (o qualunque altro ristorante) sia troppo caro può andare al McDonald che si trova lì vicino senza rompere le scatole, anche perché alcune famiglie arrivano a fine mese grazie allo stipendio di quel ristorante. Fate ridere.
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) March 20, 2025
Tra coloro che davvero non credano che un’insalata russa caramellata sia in cima ai pensieri di chi non arriva a fine mese c’è Roberto Burioni, virologo e divulgatore che non ha mai risparmiato le sue “blastate” social a nessuno.
Con un post su X, Burioni ha espresso la sua opinione riguardo alla questione a modo suo:
“Chiunque ritenga che il ristorante di Carlo Cracco (o qualunque altro ristorante) sia troppo caro può andare al McDonald che si trova lì vicino senza rompere le scatole, anche perché alcune famiglie arrivano a fine mese grazie allo stipendio di quel ristorante. Fate ridere”.
Insomma, nessuno obbliga gli indigenti ad andare a mangiare negli stellati, e comunque è pur sempre un’attività commerciale dalla quale dipendono stipendi e famiglie. Tra le molte reazioni al post, non è mancata quella degli attivisti stessi:
“Che vadano da McDonald.
Non proprio il commento che ti aspetti da un medico”.
Oggi in Italia un cittadino su 10 è in povertà assoluta. E tra questi poveri ci sono pure tanti lavoratori. Non è automatico che chi “lavora onestamente” oggi riesca a permettersi una vita dignitosa”.
Una neanche tanto velata accusa di classismo, Burioni come Maria Antonietta e il Big Mac moderna brioche.
La causa degli attivisti è sicuramente condivisibile, ma il nesso col fine dining continua a sfuggirci. Ok, Cracco è un rappresentante del fine dining dal nome particolarmente altisonante in grado di fornire la massima visibilità all’iniziativa, ma se il suo menu degustazione a 215 euro in una location di Milano in cui nemmeno il turista più sprovveduto si stupisce di pagare 10 euro per un caffè e un’acqua, secondo loro vale quanto un affitto, è evidente che le loro recriminazioni sulla cucina gourmet sono basate più su stereotipi che sui numeri. Forse gli scontrini della Gintoneria si avvicinavano molto di più ai prezzi dell’immobiliare al metro quadro.
Scorrendo tra i commenti, la sensazione è che chi propone ristorazione di questo tipo non abbia colpe e nemmeno chi se la può permettere: “Nessuno obbliga ad andare a mangiare in questi ristoranti. Se non mi posso permettere un pasto da Cracco, non me la prendo con lui, vado semplicemente dove posso mangiare a un prezzo giusto, Cracco ha clientela che può spendere, buon per lui”.
Non è mancato qualche sfottò: “hanno ragione, anch’io voglio una Lamborghini sospesa per me, perché non è giusto che io debba girare con una misera jeep”.
Da parte loro, gli attivisti promettono di tornare sul luogo del delitto per una distribuzione pubblica di cibo: per coerenza, almeno optino per lo “Spaghetto giallo di Cracco”: troveranno tutti gli ingredienti da Eataly.