Ancora non si sa bene cosa sia successo, ma quel che riportano le cronache locali è che è stato ritrovato questo pomeriggio, sulle rive del Lambro, il corpo senza vita di Giovanna Pedretti, titolare della pizzeria Le Vignole di Sant’Angelo Lodigiano, finita nel vortice dell’attenzione mediatica soltanto poche ore fa per aver risposto a una recensione omofoba.
Recensione che aveva fatto piuttosto discutere: prima perché i media (tutti) l’avevano ripresa senza verificarne la veridicità, quando evidentemente c’era qualcosa che non tornava. Eravamo stati noi, per primi (ripresi non sempre con la citazione della fonte, come ahinoi accade spesso) a mettere in discussione l’autenticità della vicenda. La nostra ipotesi non verteva tanto su una trovata della pizzeria per avere visibilità (ipotesi plausibile), quanto sull’esistenza di un troll, visto che due anni fa era capitata una situazione assolutamente idendica. Non avevamo nessun elemento, giornalisticamente, per sostenere che la recensione fosse stata fatta dai titolari della pizzeria stessa. Ci siamo limitati a far notare che di certo quelle parole non erano reali, e che di certo la stampa italiana avrebbe dovuto prestare più attenzione ai dettagli, prima di farne il caso del giorno.
In seguito, si sono aggiunti particolari. Lorenzo Biagiarelli ha fatto notare sul suo profilo come i font della recensione pubblicata dalla Pizzeria sui social non corrispondessero a quelli di Google. E lì, più di qualcuno, ha capito che qualcosa non tornava, e ha tentato di rimediare all’errore fatto nel prendere per buona una storia senza verificarla. Ma la sensazione è che si sia cascati due volte nello stesso errore, con il TG3 appostato davanti alla Pizzeria (pericolosamente in stile “Le Iene”, o almeno questa è l’idea che ci ha trasmesso il servizio) a chiedere alla titolare conto della recensione, “nell’attesa che Google confermi o smentisca la sua veridicità”. Ecco, quello che abbiamo pensato alla vista di quel servizio è che, se davvero si era deciso di imparare dall’errore fatto, il tempo d’attesa era la chiave fondamentale. Basta continuare a seguire l’ipervelocità di un’informazione superficiale: una volta avuto la conferma di Google, si avrebbe avuto in maniera lampante la chiave per risolvere questo “mistero”, e allora si sarebbe potuto fare un servizio “riparatore”, accusando eventualmente – questa volta con delle prove – i titolari della pizzeria di aver costruito una recensione falsa per avere un po’ di visibilità in più.
Ma poi, quella visibilità, sarebbe stata davvero responsabilità dei titolari, o piuttosto dei media che gliel’hanno regalata, in una vicenda che -davvero- non aveva alcuna valenza giornalistica? Cioè, anche presumendo che fosse tutto vero, dove sta la notiziabilità effettiva di una titolare che risponde per le rime a un cliente che si merita tutto il disprezzo del mondo?
Invece no, la strada intrapresa dall’informazione italiana è stata un’altra. E certo, nessuno si poteva immaginare un epilogo così tragico (quel che si sospetta al momento è che si sia trattato di un suicidio). E ovviamente ancora non conosciamo tutte le implicazioni della vicenda, né le reali motivazioni di un eventuale gesto estremo. Quel che però sappiamo è che forse era un dovere di chi ha il ruolo di fare informazione porsi domande diverse, e agire in modo diverso.