Diciamocelo: a trovar posti dove mangiar bene spendendo cento euro son bravi tutti. I locali blasonati son facili da rintracciare –sono su tutte le guide, sulla bocca di tanti, sulla rete, magari persino in TV–, belli da vivere, perfetti per postarne la foto ben illuminate sui social.
Basta avere i soldi del conto, il resto è semplice.
Ma le trattorie.
Eh, intercettare le trattorie è tutta un’altra cosa. Trovare la trattoria giusta è un’avventura epica. Mica ci sono sulle guide, le trattorie. E per separare quelle buone da quelle cattive su TripAdvisor ci vorrebbe un algoritmo che nemmeno Rousseau…
Stanare una sosta popolare significa avere una rete di spie sul territorio, una Spectre della pastasciutta, un Mossad della pasta e fagioli, una CIA delle trippe.
L’osteria vera –quella che cucina franco, che sta aperta a pranzo, che costa venti euro– la trovi nei quartieri più segreti, magari nemmeno ha un’insegna e la becchi solo perché un amico ti ha detto “è sull’angolo tra via dei Gelsomini e via Oropa”.
Provate a cercare un’osteria ruspante a Milano, a Firenze, a Torino, a Venezia, a Roma. Sembra un’impresa impossibile.
I vademecum cartacei, anche quelli più pop, sono di poco aiuto; il web è un mare vasto e procelloso. Allora vi do un consiglio: cherchez la fame.
Cioè cercate una persona in carne e ossa (più carne che ossa, possibilmente) di cui conoscete i grandi appetiti e la passione per le tavole pop; dunque: seguitela.
Seguitela su Facebook. Seguitela fisicamente, fino a raggiungerla tra tovaglie a quadri e fernet. Non è facile da isolare, ma se la individuate, avete fatto bingo.
Sono arcisicuro che in ogni città c’è almeno un ghiottone errante appassionato di cucina spartana. Per Torino, mi sento di presentare la mia candidatura.
Aspetto trepidante di conoscere quelle delle altre città.