Tra i milioni di immagini che immortalano il cibo italiano, una è la più potente, la più bella: quella di Felice Sciosciammocca che si mangia gli spaghetti al pomodoro con le mani, in piedi sul tavolo, con gli occhi luminosi di chi sganascia sì con gusto ma soprattutto per fame.
E’ un fotogramma del film “Miseria e nobiltà” e Sciosciammocca ha la faccia storta di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro-genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio. Più brevemente Antonio De Curtis. In arte: Totò.
Totò è morto cinquant’anni fa quasi esatti –il 15 aprile 1967– ma questa scena rimane indelebile e la conosce pure chi non abbia mai visto la pellicola.
Gli Sciosciammocca sono tristi e affamati seduti attorno al tavolo spoglio; d’un tratto, come un “miracolo” appare il cuoco Don Gaetano che apparecchia ed estrae dalla sporta un pescione, un pollo arrosto e la celebre zuppiera ricolma di pastasciutta; Don Gaetano se ne va e gli altri s’avventano sul cibo, pazzi di gioia.
Grazie al cielo, nessuno di noi (o quasi) fa più la fame e forse un piatto di spaghi al pomodoro può esercitare un effetto così potente solo su chi abbia la pancia davvero vuota.
Ma in tempi in cui il cibo s’è caricato di mille ossessioni, ricordare che un semplice piatto di pasta può dare grande felicità è importante.
Se no, come si dicono in quella stessa scena Felice e il coinquilino Pasquale, poco prima dell’arrivo del cuoco: “Qua non si vive più. Veramente si mangia pane e veleno”; “Pasqua’, te l’ho già detto un’altra volta: qua si mangia solo veleno”.