In tutto il mondo sono state pescate 500 mila tonnellate di tonno in più rispetto al 2012: è quanto emerso da uno studio che ha dimostrato come sia aumentata la pesca di tonni e tonnetti, ma sia drammaticamente diminuito il gudagano.
Nel 2018 abbiamo pescato 500 mila tonnellate di tonno in più rispetto al 2012, ma questo sforzo non ha corrisposto un aumento del valore. Anzi, abbiamo perso 500 milioni di dollari in meno. A denunciare queste cifre è uno studio dell’organizzazione The Pew Charitable Trusts, una organizzazione indipendente no profit fondata nel 1948 che svolge numerose ricerche e attua diverse campagne per sensibilizzare il pubblico, come per esempio l’istituzione di alcune aree marine protette.
Da quello che ha dimostrato, se i governi che regolano il settore attraverso gli organi di gestione regionali non adotteranno strategie a lungo termine, dichiarano che tutto il tonno, dai supermercati al sashimi da 100 dollari a porzione, potrebbe ben presto scarseggiare.
Per prima cosa sono state considerate le principali nazioni al mondo per la pesca del tonno: in cime si trova l’Indonesia, con 550 mila tonnellate nel 2018, seguita dal Giappone (370 mila ton), Papua Nuova Guinea, Taiwan, Spagna, Ecuador, Corea del Sud con 300 mila ton in totale, e gli Usa con 240 mila tonnellate.
Il Rapporto ha analizzato poi le sette specie più commercializzate, tenendo conto del numero delle catture sino al valore di ciò che compriamo. La pesca del tonnetto striato rappresenta il 58% di tutto il tonno sbarcato nel 2018 in peso e il 40% del valore; in pratica sono 3 milioni di tonnellate pescate, il 20% in più rispetto al 2012 che però ha portato solo il 6% in più di vendite. Andamento simile per la specie Yellowfin, con un aumento del 15% delle catture ma solo del 2% degli utili. Per il tonno rosso dell’Atlantico le catture segnano +200% a fronte di un valore dei guadagni di +22%.
Il risultato è che ne stiamo catturando di più, ma non si traduce in un maggiore valore economico. Il problema, fa notare il Rapporto, è che si sono fissate le quote al di sopra di quello che gli scienziati hanno ritenuto il rendimento massimo sostenibile. È già successo che gli stock di tonno rosso dell’Atlantico orientale e del Mediterraneo diminuissero, nel 2010 era stato messo anche un blocco poiché si temeva di perdere il controllo di un’industria da 2 miliardi di dollari. E in meno di 10 anni, infatti, la situazione è migliorata.
Ma questo metodo va perseguito: soltanto un approccio scientifico può mantenere alti i ricavi senza esaurire le scorte oltre la soglia della sostenibilità. Forse un motivo in più per aspettare il tonno vegetale.
[ Fonte: ANSA ]