Più di ottocento manifesti, distribuiti principalmente in quel di Londra e in particolare presso le aree della metropolitana, per tutelare il Prosecco, educare i consumatori d’Oltremanica e puntualizzare l’abito preferito dalla bolla veneta. “This is not Prosecco“: per la sua campagna britannica il Consorzio di tutela ha scelto, come vi abbiamo già raccontato, un nome più che eloquente. Lettere cubitali affiancati a uno spillatore o a una lattina o a qualsiasi altra soluzione – diversa dalla bottiglia – che promette di erogare la bolla del Triveneto.
Si tratta, con un costo di quasi 300 mila euro, della più importante ed estesa campagna mai realizzata dal Consorzio Tutela Prosecco DOC nel Regno Unito che, è bene notarlo, è di fatto il secondo mercato internazionale per volume del Prosecco DOC (nel 2022, dei 638,5 milioni di bottiglie di Prosecco DOC vendute, 130 milioni sono state esportate proprio da queste parti). Il taglio comunicativo, però, non è stato apprezzato.
“This is not Prosecco”: le critiche alla campagna del Consorzio
Il cuore tematico della campagna, come abbiamo accennato in apertura di articolo, è quello di tutelare il Prosecco sottolineando il fatto che possa essere venduto solamente in bottiglia. In altre parole, la campagna è un invito a diffidare alle “soluzioni alternative”, dallo spillatore alla lattina. Eloquente il claim, eloquenti le parole del Consorzio: “Alla spina non esiste alcun Prosecco” aveva spiegato il direttore Luca Giavi. “Quest’idea nasce da una mancanza di conoscenza e consapevolezza sia degli operatori del settore sia dei consumatori”.
Una lettura, quella di Giavi, che è stata interpretata come un po’ troppo grossolana. “Capisco che il Prosecco DOC sia preoccupato che i consumatori siano confusi su cosa sia e cosa non sia il Prosecco” ha ad esempio spiegato Barclay Webster, vicepresidente dello sviluppo aziendale e del commercio per l’azienda statunitense Free Flow Wines, uno dei più critici più accesi alla campagna del Consorzio. ” Tuttavia, non credo che il livello di confusione sia così elevato da giustificare questo tipo di investimento. Piuttosto che stare sulla difensiva, sarebbe meglio se passassero all’attacco concentrandosi su come reclutare nuovi consumatori”.
Una seconda e interessante chiave in cui la campagna è stata interpretata è quella di un attacco al packaging alternativo. “Penso anche che sia incredibilmente miope pubblicizzare che il Prosecco non è disponibile in un packaging più sostenibile rispetto alle pesanti bottiglie di vetro monouso” ha aggiunto a tal proposito Webster. Parlando del lancio della campagna noi l’avevamo proposta come provocazioni, tra doverose parentesi: chissà che in futuro qualche etichetta di bolla veneta non venga venduta in lattina, disciplinare permettendo? Il commento di Webster ammicca evidentemente a questa possibilità.
“La reazione negativa che la campagna sta ricevendo sta anche riaccendendo importanti conversazioni sulle designazioni regionali” ha aggiunto Webster in una breve dichiarazione ai colleghi di the drinks business. “È necessario aggiornare le restrizioni sugli imballaggi alternativi e sulle spedizioni di grandi quantità per soddisfare meglio le preferenze in evoluzione dei consumatori e gli sforzi volti a ridurre l’impatto ambientale del settore?”. Nelle sue parole, Webster si staglia chiaramente contro la radice tradizionale del disciplinare, e invita a un’innovazione – con tutte le conseguenze, anche spiacevoli, del caso. “This is not Prosecco” voleva essere una campagna di difesa, ma ha innescato un ampio dibattito sul futuro del vino.