Un bottino di ventitré candidature complessive: abbastanza da entrare nella storia per il nuovo record di nomination nella propria categoria. Ci stiamo riferendo a The Bear, serie – è ormai il caso di dirlo – cult che segue chef Carmy, interpretato da Jeremy Allen White, nelle sue peripezie creative e gastronomiche (che poi non sono un po’ la stessa cosa?) per mantenere a galla il suo ristorante di Chicago.
La cucina, in altre parole, si è presa il palcoscenico – o perlomeno una parte piuttosto importante, ecco – nelle fasi preliminari degli Emmy. Per la cerimonia di premiazione, badate bene, sarà necessario attendere ancora un poco (la metà di settembre); ma il record è pur sempre un record: a tenere il primo posto complessivo è invece Shogun, con un totale di 25 candidature.
Da MasterChef a The Bear
La terza stagione di The Bear è fresca che più fresca non si può: al criptico annuncio di metà maggio fecero immediatamente seguito, puntualissime, le prime ipotesi sui suoi contenuti. A muovere le sinapsi degli investigatori internettiani era stata anche e soprattutto una fuga di immagini evidentemente appartenenti a una veglia funebre. La domanda era sorta spontanea: di chi sarà il funerale?
Non è tutto entusiasmo, però: a onore del vero ci tocca sottolineare che, al netto della frenesia mediatica, la terza stagione della serie ha portato con sé grappoli di critiche poco clementi (e, a tratti, forse persino esagerate). In ogni caso, The Bear è ora a un passo dall’Olimpo televisivo; ma il suo successo cosa può significare per il mondo della cucina?
La lettura che possiamo fornirvi è che The Bear ha saputo dare un seguito alla mitizzazione romantica della cucina – vedi MasterChef, sì, ma anche e soprattutto figure come Jamie Oliver o lo stesso Gordon Ramsay – offrendo una visione più grintosa, più severa, più – tocca dirlo – realistica.
In The Bear c’è un amore di fondo per la ristorazione e ciò che rappresenta, è chiaro; ma c’è anche un commento più sottile su quanto accade veramente in cucina: i trionfi, gli abusi, la creatività, il classismo e il culto dell’eroe. È un livello di sincerità talmente nitida da essere quasi ruvida: e il pubblico, a quanto pare, apprezza.