Ora: so benissimo che le denominazioni d’origine e altre questioni di tal specie sono un ginepraio e bisogna essere esperti.
In generale io amo gli esperti e certo non sono per il fai da te. Ma qualche volta non bisogna lasciare il dibattito SOLO a loro, ché i tecnicismi possono nascondere insidie.
Dunque, ecco il tema: cosa significa “Tartufo Bianco d’Alba”?
Non starei a sollevare la vicenda –peraltro fuori stagione– se un drappello di notabili piemontesi di primissima linea non stesse richiedendo al Ministero delle politiche agricole, in risposta alla ventilata cancellazione della dicitura «Tartufo bianco del Piemonte o d’Alba», che tutti i “tuber magnatum pico”, comunemente noti come “tartufi bianchi”, vengano d’ora in poi chiamati “tartufi bianchi d’Alba”.
Anche se raccolti in Romania. Anche se trovati in Bulgaria. Anche se scavati in Umbria, in Emilia.
Dicono, i notabili: “così il nome Alba circola per il mondo! Sai che lustro!”. E poi, per non sbagliare, questo consentirebbe a tutti –piemontesi compresi– di smerciare quintali di trifule improvvisamente nobilitate dal brand “Alba”.
Chiacchierando con un amico langhetto, scopro che non è nemmeno così surreale: il nome “nocciola delle Langhe” indica una varietà, non una provenienza, quindi puoi avere gli alberi di nocciola delle Langhe anche in Molise.
Se vuoi anche su Saturno (ma poi è un casino innaffiarli).
Su questioni organolettiche, di promozione, marketing, fatturati, commerci, IVA e quant’altro non dico nulla: so di non sapere.
E mi esimo anche dal tirare in ballo la VERITA’ per cui ti aspetteresti –ingenuotto!– che un “Tartufo bianco d’Alba” venisse da Alba (allora chiama il salmone “Salmone selvaggio d’Alaska” e allevalo a Rho).
Parlo semplicemente da consumatore: ma se si chiamerà “Tartufo bianco d’Alba” e giungerà dalla Romania, non sembrerà –almeno un pochino– una presa per il culatello?
PS: non voglio fare il malizioso, ma in rumeno “tartufo” si dice “trufa”.