Non dovrebbe certo essere un mistero che l’attuale sistema alimentare sia tra i principali responsabili del cambiamento climatico; eppure a toccare di carne e di allevamenti industriali si rischia inevitabilmente di passare per sgradevoli guastafeste. In Svizzera, tuttavia, il pensiero pare essere radicalmente diverso – e no, non si tratta di esterofilia gratuita, ma di una naturale deduzione innescata dal fatto che tra appena un paio di giorni – domenica 25 settembre, a essere precisi – i cittadini elvetici voteranno in un referendum per decidere l’abolizione degli allevamenti intensivi in tutto il Paese.
Che qualcuno alla notizia girerà gli occhi e rinnoverà la propria credenza di un declino inesorabile dell’umanità intera non abbiamo dubbi; l’iniziativa svizzera, tuttavia, rappresenta in maniera innegabile un concreto mattoncino (ma proprio ino, considerando il contesto nazionale) nella strada che porta il cibo a trasformarsi da causa a soluzione della crisi climatica in atto, tanto per citare uno dei più recenti interventi di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food; e per di più rappresenta un importante passo in avanti per il rispetto del benessere degli animali. A onor del vero, l’intero referendum è stato di fatto voluto e promosso dalle associazioni ambientaliste svizzere che puntano a inserire la tutela degli animali nella Costituzione.
“L’allevamento intensivo è un sistema di produzione che trascura praticamente in ogni modo i bisogni primari degli animali non umani” ha sottolineato a tal proposito l’organizzazione Sentience, promotrice dell’iniziativa, sul suo sito web. Se dovesse essere il sì a vincere, allora verrebbero introdotti requisiti minimi più severi per l’alloggio, l’assistenza sanitaria, l’accesso all’aria aperta e le pratiche di macellazione, oltre – naturalmente – a ridurre significativamente il numero massimo di capi per superficie.