Negli Stati Uniti il cavallo pazzo dell’inflazione continua a minacciare i portafogli dei cittadini: nel mese di giugno, infatti, il tasso ha toccato il 9,1%, il massimo livello degli ultimi 40 anni, costringendo i nostri amici a stelle e strisce a rivedere le proprie strategie di acquisto virando verso prodotti più economici e convenienti. Una tendenza che trova risonanza anche in quanto dichiarato da Walmart, colosso della grande distribuzione, che ha indicato una tendenza tra i propri clienti ad abbandonare i prodotti a base di carne in favore di alternative più low cost, come fagioli, altri cereali o tonno in scatola.
Interessante notare, per di più, che mentre la stessa catena di negozi al dettaglio aveva assistito a un netto aumento delle vendite quando il tasso di inflazione cominciò a scaldare i motori, ora si trova ad avere a che fare con clienti che acquistano sempre meno e prediligono sostituti sempre più economici – una tendenza comprensibilissima che abbiamo già visto anche in Russia e Regno Unito.
A onor del vero occorre sottolineare che, negli ultimi tempi, la folle corsa dell’inflazione si è data una piccola calmata – ma di fatto i prezzi sono rimasti i più alti degli ultimi quattro decenni. Basti pensare, in questo contesto, che a giugno il prezzo della carne bovina è aumentato del 4,5% su base mensile, mentre uova e maiale hanno messo a segno rispettivamente incrementi del 3% e 3,1%. Prezzi elevati che, come potrete immaginare, non vengono assorbiti nello stesso modo da tutta la popolazione: a pagare il conto più salato sono infatti le famiglie a basso reddito o della classe media, con migliaia di cittadini che sono scesi sotto la soglia di povertà.