I rider dovrebbero ricevere le stesse mance dei più tradizionali camerieri? E come la mettiamo se piove o fa freddo – bisogna mettere in conto un piccolo aumento? E sulla questione degli ordini? Vogliamo dire, consegnare qualche centinaio di euro di sushi è certamente differente dal portare un paio di pizze. Sono queste – e molte altre – le domande che stanno dando forma a un’accesissima polemica negli Stati Uniti d’America, con i nostri centauri del gusto che lamentano la mancanza di generosità e i clienti che invece sono convinti di stare lasciando mance più che sostanziose.
La polemica delle mance ai rider: le forze in campo
La questione è relativamente semplice, come avrete modo di intuire. Le difficoltà del lavoro di rider sono ben note anche dalle nostre parti: stipendi bassi, potere contrattuale pressoché inesistente, condizioni di lavoro dure e pericolose che sovente sfociano in incidenti stradali anche letali o in vicende come quella che ha visto protagonista Salvatore Aranzulla e che ci spingono a considerare l’etica effettiva che entra in gioco utilizzando i sistemi di delivery.
A far germogliare il dibattito ci ha pensato un lungo e interessante articolo del New York Times che raccontava delle condizioni lavorative e delle difficoltà finanziarie che i rider si trovano comunemente ad affrontare. Nello specifico, quello che diversi addetti alle consegne hanno lamentato è stato un radicale declino della quantità e qualità delle mance: “È difficile capire come le persone possano avere così tanti soldi e dare mance così povere” aveva commentato a tal proposito Brantley Bush, un rider di Uber Eats, raccontando di aver ricevuto appena venti dollari di mancia per aver consegnato 388 dollari di sushi.
L’articolo, come accennato, ha rapidamente acquistato una risonanza virale; e sebbene molti lettori abbiano espresso empatia e solidarietà per i lavoratori in difficoltà, la stragrande maggioranza dei commenti si è schierata in maniera nettamente opposta all’idea di aumentare le mance.
Chiaro, per affrontare a modo l’effettiva pietra dello scandalo occorrerebbe interrogarsi sull’effettiva sostenibilità di un sistema del genere – mance ma più generalmente l’inquadratura contrattuale e salariale dei rider -; ma è comunque interessante dare un’occhiata più tranquillamente voyeuristica alle argomentazioni impugnate dai clienti restii ad aprire il portafoglio.
In molti utenti, ad esempio, hanno preso a sostenere l’idea che la dimensione di un ordine non dovrebbe impattare sulla mancia. “Consegnare 388 dollari di sushi e due pizze richiedono lo stesso sforzo” ha scritto una lettrice del Times. “È la stessa quantità di lavoro”. Diversi altri hanno invece scritto che i rider non dovrebbero aspettarsi mance alte come quelle dei camerieri: “Il rider non fornisce certo servizio al tavolo” ha scritto un ragazzo. “Si limita a consegnare il pacco”.
Una terza frangia di commenti si dimostra più empatica: qui troviamo tutti coloro che condividono l’idea che una mancia dovrebbe basarsi sulla distanza percorsa e sulle eventuali difficoltà atmosferiche – neve, pioggia, freddo e via dicendo – affrontate; e ancora una quarta si chiede per quale motivo il cliente dovrebbe essere responsabile di garantire un salario dignitoso ai lavoratori di un’azienda quando, per l’appunto, dovrebbe essere compito di quest’ultima.
Ultimi ma non per rappresentanza ci sono infine coloro per cui i rider sarebbero ingenui a pensare di poter vivere con un lavoro del genere. “Dovrebbero sforzarsi di ottenere un lavoro con paga regolare, orari regolari e tutto il resto” ha commentato una signora di nome Nicole. “Gli adulti hanno bisogno di trovare un lavoro da adulti”.