Negli USA circa la metà dei locali di Starbucks sono stati chiusi a causa dell’emergenza Coronavirus. La stessa azienda ha dichiarato di aver avuto un calo delle vendite del -70% nel corso dell’ultima settimana di marzo, proprio a causa della chiusura di un così gran numero di sedi.
Al momento, delle 8.800 sedi statunitensi gestite dalla stessa società, il 44% sono aperte, il che vuol dire che più della metà sono chiuse: si parla di più di 4.900 sedi non operative. Per quanto riguarda le 6.000 sedi autorizzate, quelle in licenza, il 55% sono aperte all’interno di store alimentari. Unendo questi due dati si evince che poco più della metà delle sedi complessive negli Stati Unite non sono attive.
Starbucks ha chiuso del tutto le zone di servizio con i tavolini, scegliendo di lasciare aperte solo le postazioni con drive-thru (sono presenti nel 58% delle 8.800 sedi).
Esattamente come McDonald’s, Starbucks aveva iniziato l’anno in crescita: fino all’11 marzo le vendite erano aumentate dell’8%. L’azienda era sulla giusta strada per registrare il miglior trimestre nel corso degli ultimi quattro anni. Ma poi è scoppiata la pandemia e dal 12 marzo le vendite hanno cominciato a calare.
Per contro, dopo il crollo delle vendite di febbraio in Cina del 78% (anche in Cina Starbucks aveva dovuto chiudere i battenti durante il periodo peggiore dell’epidemia), adesso c’è stato un certo recupero: a marzo si è registrato un calo del 64% che nell’ultima settimana del mese è arrivato al 42%, con più del 95% delle sedi riaperte.
Forti dell’esperienza in Cina, negli Stati Uniti l’azienda ha preso subito provvedimenti: a fine febbraio ha potenziato le consegne a domicilio, mentre dal 21 marzo ha chiuso del tutto le aree con i tavolini. Inoltre sta pagando 3 dollari in più all’ora ai dipendenti fino al 3 maggio.
[Crediti | Restaurant Business Online]