Come non ricordare nel primo giorno di Starbucks a Milano –oggi, 7 settembre– che proprio la notizia dell’apertura della catena americana ispirò Aldo Cazzullo, l’affermato editorialista del Corriere della Sera, a vergare un anno e mezzo fa la più gloriose pagina di sovranismo alimentare de noantri: prima i caffè italiani.
[Anche secondo voi, come per Cazzullo, Starbucks è un’umiliazione per gli italiani?]
E ieri, già pochi minuti dopo l’inaugurazione, mentre su Instagram si diffondevano i primi selfie, l’indignazione per Starbucks a Milano prendeva corpo con il classico repertorio del sovranismo che ora va per la maggiore:
– Le multinazionali che distruggono i veri produttori italiani);
– La globalizzazione che minaccia i nostri valori (ebbene sì, l’espresso in tazzina);
– Gli extracomunitari che rubano il lavoro ai giovani italiani.
Come noterete, tutte cose che si sentono ogni giorno al bar o nella tivù autarchica formato Salvini.
Sono molto preoccupato: Salvini non ha ancora rivendicato lo Starbucks senza frappuccino come una vittoria del sovranismo suo di leghista.
— Fabio Vassallo (@vaux_hall) 6 settembre 2018
Stoppata la prima polemica per eccesso di insensatezza, visto peraltro che grazie all’open space da 3200 metri le panchine, le felci e i rampicanti Piazza Cordusio ieri sembrava un’oasi, passiamo alla seconda, decisamente meno ridicola.
I prezzi di Starbucks in Italia.
La parola passa a Chiara Cavalleris, caporedattore di Dissapore
MAIN BAR
E’ il bar principale, dove i baristi in grembiule liuta muovono le fila di chemex e syphon, con le mosse dei burattinai, proponendo mono-origine diversi (quattro, più il blend Pantheon realizzato ad hoc per l’apertura milanese) e sette estrazioni.
Se volete un espresso, giusto per vedere l’effetto che fa sedersi sui divanetti rivestiti di lusso della Toastery Reserve, dovete pagare 1.80 euro. Cogliamo l’occasione per ricordarvi che da Carlo Cracco, in Galleria Vittorio Emanuele, sta a 1.30 euro.
Il cappuccino costa 4.50, a cui dovete aggiungere 50 centesimi se siete nella schiera di quelli che lo vogliono con il latte di soia. L’americano parte dai 3.50 euro, che l’acqua calda è esosa, e il marocchino pure, ma “è rifinito con riccioli di cioccolato fondente”. Per le estrazioni diverse dall’espresso bisogna sfoderare il pallottoliere, dacché con uno chemex otterrete 8 tazze (a 12 euro) e con un siphon 3 (10 euro).
Se sfortunatamente vi recate da Starbucks da soli e volete un classico caffè filtro, sappiate che una tazza di pour over varia tra i 5 e gli 8 euro, in base alla quantità e alla concentrazione del caffè che sceglierete. E non pensate di fare i furbi optando per il tè (in foglie sfuse): costa tra i 6.50 e i 7 euro.
PRINCI BAR
Non crediate che il panificatore Rocco Princi sia un “nuovo acquisto” di Starbucks, elucubrato per fare bella figura con noialtri italiani a Milano. Sono cinque anni che collaborano, Princi e Schultz, esclusivamente sulle Reserve Roastery. Troverete i monumentali pani del nostro Rocco anche nelle sedi di Seattle e Shangai.
[La prossima mossa di Starbucks? Una catena di panetterie con Princi]
Un trancio di pizza al taglio costa dai 5.50 i 7.50 euro, in base alla farcitura, una fetta di torta costa 6.50 euro e una 33 di birra (Menabrea, nulla di esaltante) costa 5 euro. Parrebbero i prezzi più umani, se si considera l’aspetto invitante dei dessert e la sconfortante media di prezzi sulla piazza di centro città, al netto della piccola gastronomia, che propone una porzione di lasagna o parmigiana 10 euro.
ARRIVIAMO BAR
Il cocktail bar è un imponente soppalco, che veglia sulla macchina tostatrice in funzione e concede uno sguardo privilegiato sul flusso dei chicchi tra i tubi della chiccosa, cinematografica, Roastery. 12 metri di bancone riscaldato, ottenuto da un unico blocco di marmo Calacatta, animato dalla mixology e arredato dai sontuosi cornetti di Princi, a 2.20 euro cadauno.
Le ricette classiche costano 12 euro, che vogliate un margarita o un Martini, mentre quelle inedite, curiosamente battezzate “craft cocktails”, arrivano a 20 euro. In molti casi si tratta di cocktail che contengono caffè estratto in qualche maniera astrusa, aggiunto come elemento aromatico dove non te lo aspetteresti. E’ quanto di meglio si possa provare da Starbucks, probabilmente.
Si ragiona meno su aperitivi, amari e soft drink: 8 euro per un Aperol o un Amaro del Capo, per esempio.