Starbucks deve fare attenzione quando chiede il nome ai clienti da scrivere sulle tazze: Isis al posto di Aziz è solo la punta dell’iceberg. Tutti sappiamo che Starbucks ci chiede il nostro nome per scriverlo sulla nostra tazza di caffè. I problemi nascono, però, quando i nomi dei clienti sono insoliti: inevitabilmente il commesso lo scrive in maniera sbagliata. Ma non solo: talvolta questi errori sembrano essere poco gentili, quasi come se fossero fatti appositamente. E in alcuni casi si rischia un’azione legale.
Sono stati segnalati diversi casi del genere. Il più grave è quello di un uomo di Philadelphia: Niquel Johnson, 40 anni, è andato da Starbucks e quando ha ordinato la sua bevanda, ha dato il suo nome islamico, Aziz, come di solito fa. Tuttavia, quando le sue bevande sono arrivate, sulla tazza c’era scritto Isis. Oltre che essere il nome di una dea egiziana, un nomignolo alternativo per il Tamigi e una canzone di Bob Dylan, Isis è anche l’acronimo di un gruppo terroristico dello Stato Islamico. Vedere quella parola sulla sua tazza ha scioccato e fatto arrabbiare Johnson, il quale ha parlato di “discriminazione”.
Starbucks ha indagato sull’accaduto, ma il suo portavoce Reggie Borges ha spiegato che non si è trattato di discriminazione, ma di un semplice errore del commesso. Poi Starbucks si è scusata con Johnson, ma non è certo finita qui. Johnson, infatti, ha riferito che Starbucks ha affermato di aver risposto a un reclamo inviato via email tramite una conversazione telefonica avuta con la nipote Alora. Peccato che Johnson non abbia una nipote con questo nome e che le nipoti che ha sono troppo piccole per una conversazione del genere. Con chi ha parlato dunque Starbucks? Ovviamente la cosa ha fatto ulteriormente arrabbiare Johnson e sta seriamente pensando di intraprendere un’azione legale contro l’azienda.
Ma ci sono altre storie simili a questa. Una donna di nome Sirin ammette di avere un nome non facile essendo metà turca e metà iraniana (persino i suoi genitori sono discorsi sul modo in cui scrivere il nome della figlia). Un giorno, ordinando un frappuccino al caramello ghiacciato da Starbucks, ha avuto una bizzarra conversazione col commesso per quanto concerneva il suo nome: prima il commesso lo ha pronunciato Shirin, poi qualcosa che suonava come Ed Sheeran, poi Sirina e infine sulla tazza è comparso Sharon.
Ma a Sirin è andata bene. Peggio è successo con Nadia Khan: la scorsa settimana si è recata in uno Starbucks a Londra e gli è stato chiesto il nome per scriverlo sull’ordine. Quando la tazza gli è stata portata, ecco la beffa: sul suo drink c’era scritto “Hippo”, cioè ippopotamo. La madre di Nadia è così andata imbufalita ad affrontare il commesso dicendogli che avrebbe dovuto trattare i clienti con rispetto, non importa quanto fossero magri, grassi o altro. Starbucks si è successivamente scusato e ha affermato che avrebbe lavorato a stretto contatto con il team del negozio affinché non si ripetessero più simili scene.
Secondo Starbucks, chiedere e scrivere il nome del cliente aiuta a connettersi di più. Ma quando questa connessione è piena di errori, anche offensivi, si ottiene il risultato opposto.
[Crediti | The Guardian]