Gli spaghetti più sottili al mondo sono circa 200 volte più esili di un capello umano. L’aspetto forse più interessante, però, è che non sono stati concepiti come un nuovo alimento. Non perché non siano commestibili, beninteso: semplicemente, brillano anche e soprattutto per altre capacità.
Il merito della creazione va a un gruppo di ricerca che ha pubblicato i propri risultati sulla rivista Nanoscale Advances. Come accennato il tutto ha poco o niente a che fare con il mondo della cucina: l’idea, a dire il vero, è quella di impiegare le nanofibre in campo industriale e medico. Ma come?
Medicina e industria con spaghetti
Le nanofibre di amido, spiegano gli studiosi, potrebbero essere utilizzate nelle bende per favorire la guarigione delle ferite. La meccanica è piuttosto semplice: grazie alla loro porosità questi tappetini di nanofibre permetterebbero il passaggio ad acqua e a umidità, ma sbarrerebbero invece la strada ai batteri. L’obiettivo, in altre parole, sarebbe quello di impiegarli come impalcature per la rigenerazione ossea e per la somministrazione di farmaci. Un piccolo problema: la loro creazione richiede molta energia e acqua. Che fare, dunque?
“Un metodo più ecologico è quello di creare nanofibre direttamente da un ingrediente ricco di amido, come la farina, che è la base della pasta”, hanno dichiarato i ricercatori. Da qui gli spaghetti più sottili al mondo, di soli 372 nanometri di diametro, creati utilizzando una tecnica chiamata elettrofilatura in cui fili di farina e liquido vengono tirati attraverso la punta di un ago da una carica elettrica.
“Per fare gli spaghetti si spinge un composto di acqua e farina attraverso dei fori di metallo” ha spiegato uno degli autori dello studio. “Nel nostro caso abbiamo fatto lo stesso, solo che abbiamo tirato il nostro composto di farina attraverso una carica elettrica“. Insomma: spaghetti, ma molto molto più piccoli.
La nuova “nanopasta” ha dunque formato un tappeto di nanofibre di circa 2 cm di diametro. “L’amido è un materiale promettente da utilizzare perché è abbondante e rinnovabile” hanno proseguito gli scienziati. “Purificarlo, però, richiede molta lavorazione. Abbiamo dimostrato che è possibile un modo più semplice per produrre nanofibre usando la farina”. I prossimi passi?
Eseguire i test del caso, com’è ovvio: quanto velocemente si disintegra, come interagisce con le cellule e se è possibile produrlo su larga scala. E non c’è nessuna possibilità di vederlo in cucina? “Crediamo di no: si cuocerebbe troppo in meno di un secondo, prima di riuscire a toglierla dalla padella”.