Un piccolo salto in un passato non troppo remoto – siamo nel marzo del 2022, la Russia ha cominciato da appena una manciata di giorni la sua invasione armata dell’Ucraina, e numerose multinazionali o marchi occidentali decidono di abbandonare del tutto o comunque di sospendere la propria attività sul territorio russo. C’è chi decide di chiudere i rubinetti, chi cerca di tenerli almeno un poco aperti nel nome della sicurezza alimentare, chi pare temporeggiare per trovare una soluzione meno drastica. È, in un certo senso, il caso di Burger King, che decide di rimanere aperto e di devolvere i ricavi a sostegno dei rifugiati ucraini.
Una soluzione ibrida, se così vogliamo definirla, che nei mesi successivi trova una smentita nelle dichiarazioni dell’azienda stessa – il processo per lasciare la Russia era in realtà stato avviato, ma qualcosa è andato storto. Talmente storto che, diciotto mesi più tardi, la situazione non è cambiata di una virgola: Restaurant Brands International (RBI), che possiede il 15% delle attività in franchising di Burger King sul territorio russo, ha dichiarato nei giorni scorsi di non avere “nessun nuovo aggiornamento da condividere in questo momento” circa l’uscita dalla Russia.
Burger King ritarda ad abbandonare la Russia: che sta succedendo?
Non molto, a dire il vero – tutto apparentemente bloccato da 18 a mesi a questa parte, per l’appunto. Numeri alla mano, Burger King vanta un totale complessivo di 800 punti vendita in Russia: David Shear, presidente della RBI, ha dichiarato nel marzo 2022 che il principale operatore del colosso del fast food nel territorio russo si era semplicemente “rifiutato” di chiudere i punti vendita in seguito ai primi attacchi all’Ucraina.
La strada intrapresa fu dunque quella della vendita – una strategia che, per scegliere non esempio non del tutto casuale, abbiamo visto seguire con un certo successo da McDonald’s, le cui sedi in Russia sono al momento nelle mani di un imprenditore locale che ha potuto offrire un’illusione di continuità. Anche questa opzione, tuttavia, pare procedere a rilento.
Dal canto suo, la RBI sostiene di non avere più fornito nuovi investimenti o sostegno alla catena di approvvigionamento ai punti vendita Burger King in Russia, ma a oggi questi ultimi continuano a operare come se nulla fosse. La situazione sta cominciando a fare alzare qualche sopracciglio: Steven Tian, parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale che monitora ciò che le aziende hanno fatto in risposta alla guerra in Ucraina, ha sostenuto che usare gli accordi di franchising come “scusa” era una “conveniente cortina di fumo”. Ha per di più sottolineato che aziende del calibro di Starbucks sono riuscite a rescindere i propri accordi e a finalizzare l’uscita dal Paese.
“Continuando a fare affari in Russia 18 mesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin” ha commentato Tian “RBI sta sostenendo il regime di Putin”.