La recente tornata elettorale negli Stati Uniti ha prodotto due novità, una positiva l’altra meno, a voi il giudizio.
Da una parte il 45esimo presidente, Donald Trump; dall’altra l’introduzione della cosiddetta Soda Tax, ovvero la tassa sulle bevande zuccherate come Pepsi e Coca Cola, considerata una mossa importante per contrastare l’aumento di diabete e obesità.
I risultati non si prestano a fraintendimenti: gli elettori americani di San Francisco, della Bay Area, Albay, Oakland e Boulder hanno votato per l’introduzione della tassa con statistiche superiori al 60 per cento, a Oakland si è superato addirittura l’85% di voti favorevoli.
Soltanto in Colorado la consultazione ha avuto esito sfavorevole, ma è probabile che la situazione cambierà anche lì, visto il numero crescente di città che stanno progressivamente per l’introduzione della Soda Tax.
Uno dei casi più interessanti, riportato da Well, blog salutista del New York Times, riguarda proprio San Francisco: un anno fa l’università omonima aveva deciso di rimuovere tutte le bevande zuccherate da bar, distributori e ristoranti presenti all’interno del campus.
Non esistono stime ufficiali, ma si valuta che su un campione di 2500 dipendenti, circa un quarto si sia effettivamente ‘disintossicato’ dalle bevande zuccherate riscoprendo il gusto per l’acqua e le bevande senza zucchero aggiunto.
Risultati analoghi si sono avuti all’Università di Berkley, la prima ad aver introdotto restrizioni riguardo le bibite gassate.
Come sottolineato dal Fatto Alimentare, l’idea di una Soda Tax potrebbe essere ripresa anche da altri Paesi, come ad esempio la Gran Bretagna.
Il National Health Service England ha richiesto in questi giorni misure analoghe, oppure dei palliativi come il divieto di vendita nelle strutture ospedaliere o di riabilitazione, oltre all’introduzione di una tassa del 20% sul costo.
Il provvedimento dovrebbe riguardare anche i succhi di frutta, spesso addizionati con lo zucchero.
[Crediti | Link: Business Insider, New York Times, Bbc, Il Fatto Alimentare]