Slow Food ha deciso di dire la sua sulla protesta dei trattori, sottolineando come “strumentalizzare le difficoltà di chi lavora la terra è una pericolosa miccia”. Ma non solo, l’associazione non ci è andata leggera ribadendo che la vicenda non solo è strumentalizzata (ma cosa ormai non lo è?), ma anche che è il frutto di “decenni di miopia politica”.
Slow Food sulla strumentalizzazione della protesta dei trattori
Diciamo che Slow Food non ci è andata giù con i guanti di velluto per quanto riguarda la sua interpretazione di tutta questa faccenda. Slow Food, dopo aver ricordato che ormai la protesta si è diffusa in tutta l’Europa, ha sottolineato come sia vittima di un copione che viene ripetuto quotidianamente in molti settori: in pratica una protesta che, andando a guardare bene, esprime un disagio e un problema profondo, viene invece banalizzata e ridotta al solito scontro fra contadini e ambientalisti o fra contadini e Unione Europea.
Perché? Slow Food non ha dubbi: viene strumentalizzata da chi vuole ottenere vantaggi elettorali o proteggere interessi privati. Una polarizzazione di questo tipo fa sì che sia impossibile, almeno per chi non è addentro nella questione, capire questi problemi. E se non li si capisce, non li si può risolvere. Anzi: così facendo si peggiora la situazione, aumentando le tensioni.
Slow Food ha riferito che sui trattori si trovano, vicini gli uni agli altri, agricoltori che adottano tecniche di agricoltura intensiva, che impoverisce la terra, ma senza arricchire gli stessi agricoltori e contadini e allevatori più “virtuosi”, coloro che vengono lasciati da soli e che non hanno un futuro davanti a sé (fra l’altro lo stesso concetto ribadito anche da Al Bano). E non hanno neanche un futuro quelle terre che corrispondono al 70% delle aree interne italiane che vengono trascurate da ogni nuovo governo, quel medesimo territorio che ogni volta che c’è un evento climatico estremo si trasforma in un disastro naturale.
Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia, ha così dichiarato: “L’incendio che divampa in questi giorni in tutta Europa è il frutto di decenni in cui la politica ha trascurato l’agricoltura, le condizioni di vita e di lavoro di chi produce cibo soprattutto nelle aree interne”.
Milano ha poi aggiunto che la gran parte della produzione alimentare industriale è controllata da un piccolo insieme di gruppi finanziari e multinazionali. E controllano tutto: dai semi ai fertilizzanti, dai pesticidi alla genetica delle varie razze animali, passando per la trasformazione delle materie prime e arrivando alla distribuzione.
Il guaio è che questo sistema alimentare non protegge la terra e chi la lavora, cioè la base di questo sistema. Anzi: questo sistema finisce proprio per distruggere gli agricoltori virtuosi e causa sprechi notevoli (quasi un terzo del cibo prodotto).
La direttrice di Slow Food ha poi continuato sostenendo che “abbiamo chiuso gli occhi per anni” di fronte a situazioni limite:
- contadini obbligati a lasciar marcire la frutta sugli alberi perché raccoglierla sarebbe stato più costoso
- allevatori che hanno versato in strada il latte prodotto per disperazione
- agricoltori che vendono il frumento al medesimo prezzo di dieci anni fa
- produttori che vengono vessati dalla grande distribuzione
In un clima del genere inevitabilmente alla fine il disagio è esploso, solo che è stato “indirizzato ad arte verso il bersaglio sbagliato”, cioè la transizione ecologica e le misure volte a tutelare l’ambiente.
Concorde anche Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. Il Green Deal è la strada da percorrere: bisogna lottare contro la crisi climatica, ripristinare la fertilità del suolo e produrre e allevare con rispetto gli animali. Questo anche perché, come indicato dal report Ipbes-Ipcc, solamente la biodiversità può permettere di adattarci ai cambiamenti climatici.
Ma per fare questo è necessario supportare chi produce il cibo usando pratiche ecologiche e sostenibili. Nappini ha poi sottolineato qualcosa che in molti trascurano: si parla sempre dei sussidi europei all’agricoltura, ma peccato che ci si scorda sempre che i soldi della Pac continuano ad andare a poche, grandi aziende. Ben l’80% dei finanziamenti finisce nelle tasche dell’agricoltura intensiva.
Inoltre a distribuire questi soldi sono le istituzioni politiche, quelle formate da persone che noi votiamo. E conclude sostenendo che sia necessaria una transizione e rigenerazione ecologica che sia anche sociale.