C’è una spada di Damocle che pende sull’umanità tutta (e no, non si tratta della pizza con l’ananas); una minaccia con cui, prima o poi – anche se meglio prima -, saremo inevitabilmente chiamati a misurarci: la crisi climatica. Eh sì, d’altronde è inutile nascondere la testa sottoterra: impossibile negare gli effetti della morsa della siccità, che ha prosciugato i fiumi d’Europa portando alla luce un passato dimenticato e strozzato raccolti di ogni tipo; o della furia sempre più intensa del maltempo. Su con la vita, però: le elezioni sono dietro l’angolo, e senza ombra di dubbio i partiti in corsa hanno messo a punto programmi efficaci, efficienti e funzionali per rispondere a un’emergenza così pressante. Lo hanno fatto, vero? Slow Food, per fugare ogni dubbio, ha preferito chiedere direttamente a chi di dovere.
Inutile sottolineare come, per affrontare la drammatica crisi ambientale in corso, tra i settori chiave spicchino soprattutto l’agricoltura e gli allevamenti: nello specifico, la prima è di fatto responsabile di un quarto delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e del consumo del 70% di acqua dolce. In questo contesto, dunque, capirete bene che agire sugli attuali modelli in modo concreto potrebbe trasformare un problema in potenziale soluzione – motivo per cui sarebbero necessari piani effettivi sul cibo, sulla sua produzione, distribuzione e consumo. Piani che, di fatto, occupano posti sempre più marginali nei programmi elettorali.
La domanda di Slow Food, in questo senso, è precisa e atroce: “In che modo pensate di agire per gestire risorse non rinnovabili come acqua, suolo e biodiversità per ripristinare la funzionalità degli ecosistemi, incentivare un modello di produzione alimentare sostenibile e per far fronte all’emergenza climatica?”.