Uno studio condotto dall’Università Cattolica ha evidenziato un grave problema in merito alla sicurezza alimentare: secondo i dati, in Italia non c’è abbastanza cibo per 1 bambino su 7. E la pandemia in corso sta già peggiorando la situazione.
Lo studio, pubblicato sulla rivista ‘Food Security’, è stato condotto dal gruppo di ricerca del Dipartimento di scienze della vita e Sanità pubblica dell’Università Cattolica, sotto la guida dei docenti dell’Ateneo del Sacro Cuore Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale e applicata, e Maria Luisa Di Pietro, Associato di Medicina Legale.
Hanno collaborato inoltre alcuni pediatri di libera scelta dell’Associazione Culturale Pediatri, mentre il coordinamento scientifico è stato messo a capo della professoressa Chiara de Waure, associato di Igiene all’Università degli Studi di Perugia e della dottoranda in Scienze biomediche di base e Sanità pubblica all’Università Cattolica, Drieda Zace.
I dati dello studio hanno portato all’attenzione l’insicurezza alimentare di 1 bambino italiano su 7, che vive all’interno di una famiglia che non sempre può permettersi un’alimentazione sana e bilanciata. Spesso il criterio di acquisto delle famiglie, da quanto emerso dallo studio, è il prezzo del prodotto, col risultato di diete poco varie e a base di cibo di qualità inadeguata. Sarebbero più a rischio i bambini del Sud, con famiglie numerose, genitori poco istruiti e giovani e con reddito basso. Inoltre si stima che per un bambino su 5 la famiglia di appartenenza viva nel timore di non avere soldi a sufficienza per acquistare il cibo fino alla fine del mese. E nella metà di questi casi, le famiglie non hanno realmente avuto risorse finanziarie sufficienti per acquistare cibo.
“Il dato – spiega Di Pietro – potrebbe essere addirittura una sottostima, in quanto lo studio, unico nel nostro Paese sulla condizione economica, sull’accesso al cibo e sullo stato di salute dei bambini italiani, non è stato esteso ai sobborghi disagiati dove sicuramente sono maggiori i disagi socio-economici delle famiglie. Inoltre, poiché gli esperti si sono serviti dell’Indice Household Food Security, che analizza, in modo anche molto “crudo”, la situazione economica delle famiglie e le ricadute sull’acquisto del cibo, alcuni dei partecipanti potrebbero avere riportato in maniera ‘edulcorata’ la propria situazione per imbarazzo. Lo studio non ha, inoltre, coinvolto zone delle città già notoriamente povere in cui senza dubbio l’insicurezza alimentare è più diffusa”.
Lo studio ha stimato la prevalenza dei bambini italiani che vivono in una situazione di insicurezza alimentare, i fattori socio-economici ad essa associati e l’impatto sullo stato di salute dei piccoli, prendendo in esame 6 macro aree italiane: Lombardia (Milano), Lazio (Roma), Marche (Jesi), Campania (Caserta), Puglia (Brindisi, Lecce), Sicilia (Palermo). Sono stati inclusi solo bambini tra 1 e 11 anni, nati in Italia, con genitori di nazionalità italiana, seguiti regolarmente da un pediatra di libera scelta. Su un campione di 573 bambini, si è evidenziato che 1 bambino su 7 vive in una situazione di insicurezza alimentare. Le macro aree risultate più critiche sono state in ordine decrescente la Campania (Caserta) e, a breve distanza, il Lazio (Roma) e la Sicilia (Palermo).
Ma queste ricerche riportano dati sul periodo 2017-2018, dunque “la situazione potrebbe essere peggiorata considerando, la pandemia di Covid-19 e la crisi economica che il Paese sta attraversando“, sottolinea Di Pietro. “C’è anche il rischio – continua Di Pietro – che con la chiusura delle scuole durante il lockdown e quindi con il mancato accesso alle mense scolastiche, che comunque sono garanzia di un pasto completo ed equilibrato per i bambini, l’insicurezza alimentare per i piccoli, specie se provenienti da contesti disagiati, può essere aumentata.”
“Lo studio mette probabilmente in luce solo la punta di un iceberg – avverte Di Pietro – I dati qui ottenuti potrebbero pure peggiori, una sottostima della situazione reale“.
[ Fonte: Università Cattolica ]