Nella Sicilia arancione per il Covid i ristoranti tornano in lockdown: 2400 chiusure temporanee su circa 4 mila associati (dati Fipe Confcommercio Sicilia), traducibili in sei ristoranti su dieci che hanno deciso di tirare giù – almeno finché non arriveranno tempi migliori – la serranda. Ancora una volta il grande antagonista è la variante Omicron, che ha rovinato il periodo festivo e fatto impennare i contagi nell’isola.
“Ho provato a tirare avanti fino al 9 gennaio” racconta un ristoratore di Palermo “ma per strada c’è il deserto e non riuscivo a coprire i costi, tra cui bollette da 3800 euro in un mese, così ho dovuto chiudere bottega fino al 10 febbraio e mandare in ferie tutti i 28 dipendenti”. E chi invece tenta di resistere porta a casa solamente qualche spicciolo, con i contatori delle bollette e i prezzi delle forniture che incombono spietati. Chiudere diventa dunque una mossa strategica, un modo per cauterizzare la ferita, per soffrire ma non sanguinare. “A Messina in parecchi hanno chiuso per limitare i danni, perché il Covid ha fatto stagionalizzare i ritmi dei ristoranti anche in Sicilia” spiega Benny Bonaffini, presidente di Feipe Confesercenti dell’area dello Stretto. “Ma il vero problema è la stangata delle materie prime: bollette raddoppiate e i costi delle merci lievitati del 20 per cento. Così, stare aperti non conviene”.