Lo stato di “salute” del fiume Po può essere tranquillamente letto come mappa che permette di interpretare l’effettiva criticità della crisi idrica in atto: a lanciare il più recente – l’ennesimo, a dire il vero – allarme circa la siccità che da due anni a questa parte sta mordendo il fiume più lungo d’Italia sono i geologi, che invitano a ragionare su nuovi interventi e su una programmazione futura per gestire l’emergenza. Per risanare del tutto il bacino del Po, avvertono infatti gli scienziati, sarebbero necessari 45 giorni di pioggia continua, un mese e mezzo di precipitazioni non-stop che, alla stregua di quanto visto negli ultimi due anni, potremmo definire quasi fantascientifico.
La siccità e l’emergenza nel Po: l’allarme dei geologi
“La situazione è ancora critica sotto il profilo delle precipitazioni piovose e nevose, oltre che delle temperature superiori alla media soprattutto a Nord del Po” spiega Roberto Perotti, Presidente Ordine Geologi Lombardia. Nulla di nuovo, a dire il vero: la neve sull’arco alpino è fondamentalmente dimezzata, mentre la portata del primo fiume d’Italia presenta serissimi deficit soprattutto nella parte piemontese.
“Dobbiamo agire subito con interventi strutturali atti a correre ai ripari anche da calamità di questa entità” continua Perotti, invitando le autorità competenti a verificare lo stato di salute delle reti (e a rattoppare le numerose perdite che punteggiano l’intero territorio nazionale), approfondire gli studi sull’emergenza e prevedere la costruzione di nuovi impianti di captazione.
“Ci troviamo all’inizio di un secondo anno decisamente anomalo, ma che si porta dietro la penuria di precipitazioni piovose e nevose dello scorso anno” spiega ancora Perotti. “Il risultato non potrà essere migliore del 2022, casomai peggiore. Temo che l’unica variabile che possa riportare alla quasi normalità un complesso sistema idrico e tutti i suoi utilizzi, siano intense precipitazioni della durata di oltre un mese e mezzo, in modo diffuso. Ma questo potrà servire solo a breve termine, ossia forse per superare l’estate. Un altro inverno analogo a quello a cavallo tra il 2022 e il 2023 ci riporterà a condizioni sempre peggiori”.
Insomma, la danza della pioggia, per quanto ormai caratteristica, potrebbe non bastare più a salvare le colture dalla morsa della siccità – non nel lungo periodo, almeno: per affrontare la crisi idrica è necessario, come anticipato, procedere con interventi strutturali: l’idea di Perotti è di partire con il “prendere in esame dapprima le acque destinate al consumo umano e zootecnico, che certamente hanno la priorità”.
“Se la conoscenza degli acquiferi di pianura si può ritenere ad un buon livello, anche dettato dalla presenza di numerosi pozzi per molteplici scopi, non si può dire altrettanto per la collina e la montagna. Il ruolo del geologo è proprio quello di fornire utili indicazioni sulle caratteristiche e produttività potenziale di questi acquiferi, ma questo è possibile solo attraverso studi e approfondite ricerche idrogeologiche di dettaglio”.
“Siamo però certi di conoscere i reali quantitativi (la portata) che sono in grado di dare? Sono monitorate in continuo per valutare quale sia il loro tempo di esaurimento? Siamo certi di captare tutta l’acqua potenziale, o una parte la si perde e non lo sappiamo? Domande queste alle quali un geologo sarebbe in grado di dare le adeguate risposte e magari proporre nuovi impianti di captazione, ma solamente a seguito di specifici studi“.