Qualche timido temporale estivo non è certo sufficiente a scacciare lo spettro della grande siccità: tra i comparti colpiti dalla morsa della carenza idrica abbiamo parlato a lungo di agricoltura e allevamenti di bovini e ovini, ma di fatto anche quelli di pesce si trovano in una situazione di difficoltà acuta. Stando a quanto rilevato dall’Api, l’associazione che riunisce i piscicoltori di Confagricoltura, la mancanza di piogge ristoratrici – sommate ai sempre presenti rincari ai prezzi dell’energia e delle materie prime – hanno determinato un aumento dei costi “di produzione” che di fatto spazia dal 30% per la troticoltura con acqua da derivazione superficiale fino al 50% per le strutture con un consumo energetico più severo.
Le criticità, senza fare troppi giri di parole, sono davvero enormi – e di fatto passano anche attraverso l’impossibilità di attuare una sorta di “fermo pesca” o lockdown per mettere in pausa gli allevamenti stessi. Il ciclo vitale del pesce allevato, infatti è di 18 mesi: “Il benessere dei pesci, qualsiasi sia la loro taglia, da avannotto a pronto per il consumo rendono impossibile qualsiasi blocco dell’attività” ha spiegato a tal proposito Pier Antonio Salvador, presidente dell’Api. “Non possiamo fermare, nemmeno provvisoriamente, la nostra attività”.
Così, con i corsi d’acqua più importanti (e anche quelli più sconosciuti) a secco, la piscicoltura italiana si trova a guardare con una certa malinconia ai risultati degli anni passati, come i 300 milioni di euro di PLV per i solo pesce sfiorati nel 2021. “Chiediamo che le istituzioni ascoltino anche la voce dell’acquacoltura, settore importate tanto quanto la pesca, soprattutto in momenti critici come quello che stiamo attraversando” ha proseguito Salvador. “Siamo un comparto efficiente e sostenibile, ma soprattutto necessario per assicurare l’approvvigionamento di prodotto ittico sicuro, di qualità e di elevato valore nutrizionale”.