Le premesse sono quelle roboanti e un poco grossolane – secondo alcune letture – già ben note a noialtri che stiamo da questa parte delle Alpi: i nostri lettori più attenti ricorderanno che la Lega, nel presentare la proposta di legge alla Camera atta a disciplinare il cosiddetto “meat sounding”, aveva citato a più riprese il rischio di “inganno per i consumatori” e proposto una serie di multe per i prodotti vegani con nomi “da carne” (pensate, tanto per intenderci, alla bresaola di seitan o alla bistecca di tofu).
La Francia, in tempi ben più recenti, aveva fatto a ruota all’intuizione italiana: niente più “bistecca”, “salsiccia” e “pancetta” per i prodotti a base vegetale. La messa al bando, però, non ha convinto tutti: la massima corte amministrativa francese, infatti, ha ritenuto opportuno sospendere il decreto di cui sopra, ribaltando ancora una volta le carte in tavola.
Un po’ divieto, un po’ semaforo verde
Permetteteci ancora un poco di archeologia legislativa: il divieto d’Oltralpe al “meat sounding” era giunto a coronazione di una lunga e rumorosa protesta da parte della stessa industria francese della carne, secondo cui l’impiego di nomenclature come “prosciutto vegetariano” o “salsiccia vegana” avrebbe potuto creare confusione tra i consumatori. Che dire: aspettate che scoprano degli spaghetti allo scoglio.
Da qui l’introduzione del sopracitato divieto al “meat sounding”, con entrata in vigore a tre mesi dal decreto e relativa creazione di multe e sanzioni – 1500 euro per i privati e fino a 7500 per le aziende scoperte a violare le nuove norme sull’etichettatura. Ecco, questo finché il consiglio di Stato ha ritenuto opportuno sospendere tale decreto individuando “un serio dubbio sulla legalità di tale divieto”.
Vale la pena notare che nell’ormai lontano 2020 il Parlamento europeo respinse la stessa proposta di vietare l’uso di termini di origine animale per i prodotti vegetali. La lettura delle autorità governative d’Oltralpe, evidentemente recependo tale decisione, è quella di sospendere la messa al bando del “meat sounding” fino a quanto la Corte di giustizia dell’Unione europea non si sarà pronunciata in merito, valutando la norma francese sulle basi del diritto comunitario.
Le “bistecche vegetariane”, in altre parole, rimangono a galleggiare in un limbo di precarietà che non può che danneggiare gli stessi produttori. È interessante notare, in chiusura, che anche in questa battuta d’arresto esiste una somiglianza tra la Francia e l’Italia: all’inizio dell’anno, infatti, la stessa industria agroalimentare italiana ha sollevato dubbi sulla effettiva possibilità che i consumatori possano rimanere confusi o ingannati da nomi come “bresaola di seitan” – con buona pace della premura mostrata dalla Lega, a quanto pare – e richiesto una revisione della legge.