Come era giusto che fosse, è Carlin Petrini la vera star della chiusura dell’edizione del ventennale di Terra Madre Salone del Gusto. E se siamo certi che non vorrebbe di certo sentirsi chiamare “star”, la verità è che la sensazione che il suo discorso alla fine dei quattro giorni torinesi della manifestazione di Slow Food sia realmente stato illuminante, indicando ancora una volta la strada giusta da seguire.
D’altronde, Carlin Petrini non ama nemmeno essere chiamato “professore”, come ha fatto scherzosamente notare al Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida arrivato a Torino direttamente dal g7 agricoltura di Ortigia. Lui lo ha chiamato così tutto il tempo, finché Petrini ha puntualizzato col sorriso che professore non è, “perché qui da una parola in su siamo tutti professori”.
Lollobrigida, che non ha mancato di tirare qualche frecciata ai giornalisti che hanno criticato l’abbigliamento “sportivo” esibito al G7, invitando coloro che si occupano di moda e di bermuda a lasciare il posto ai colleghi più seri che si occupano di politica, cibo e agricoltura, ha parlato dei diversi piani di contatto che la manifestazione di Slow Food ha con il G7, e che possono essere esaltati “in quello che non è né un lavoro di destra né di sinistra, ma un lavoro per l’umanità”. Infine, prima di passare la parola a Petrini, il ministro cita Enrico Mattei, politico a cui è dedicato il piano di “diplomazia, cooperazione allo sviluppo e investimento dell’Italia” in Africa: “Non voglio vivere da ricco in un paese povero, diceva Mattei. Ebbene, io non voglio vivere in una civiltà che pretende di essere ricca in un mondo fatto di poveri”, ha detto Lollobrigida, citando anche la carne coltivata tra gli alimenti di serie B che rischiano di finire alle fasce di popolazione più povere, mentre i ricchi hanno accesso al cibo di qualità.
E stupisce che Lollobrigida abbia parlato di “carne coltivata” e non di “carne sintetica” come ha spesso fatto, e anche che abbia voluto mettere l’attenzione su un tema cruciale come il ripensamento delle modalità di accesso al cibo per le diverse fasce sociali, tema cruciale nella contemporaneità urbana sempre più distante – in termini cruciali e culturali – dalle aree rurali dove il cibo si produce, anziché consumarsi.
Il discorso di Carlin Petrini
Toccante, singificativo e importante il discorso di Carlin Petrini, che ha pregato i giornalisti presenti di non concentrarsi sui numeri (ottimi) della manifestazione. Numeri che parlano di oltre 300 mila visitatori, di 250 conferenze con 700 relatori dall’Italia e dall’estero andate sold out, di 5000 visitatori solo nel percorso dell’Orto Slow Food. Ma che non significano nulla, dice Petrini, se si pensa che siano questo il risultato raggiunto.
“Ci sono cose che magari non così eclatanti come la massa di persone che sono arrivate in questi giorni, ma che sono molto importanti”, ha detto Petrini. “Cerchiamo di essere molto attenti nel valutare il risultato, seppur straordinario, dell’affluenza di questi giorni: quello a cui dobbiamo dare valore è pensare che queste nostre idee diventeranno cosa attiva, fattibile, reale nelle Ande peruviane o in qualche comunità africana: noi non lo avvertiamo ma è questa la vera ricchezza di Terra Madre”.
“I benefici di questa manifestazione – prosegue Petrini – li vedremo tra qualche mese in ogni angolo del Pianeta: le delegazioni che sono qui da ogni parte del mondo porteranno nei loro villaggi, nei loro paesi, ciò che hanno introiettato attraverso lo scambio, anche personale, con realtà differenti”.
Ed è proprio sullo scambio, sull’importanza e la necessità del dialogo, che Petrini fa l’inciso più lungo e sentito, scegliendo di dedicare questa edizione della manifestazione a due delegati che non ci sono più, entrambi vittime di una guerra insensata, se mai una guerra ha avuto un senso.
“Il primo è Dror Or, bravissimo produttore di formaggi israeliano che con noi aveva partecipato anche a Cheese: il 7 ottobre i terroristi hanno ucciso la moglie e sequestrato lui è i suoi figli. Dopo tre mesi è stato trovato morto, mentre i bambini sono stati oggetto di scambio e quindi si sono salvati”, racconta Petrini. “Il secondo è Bilal Saleh, produttore di olio palestinese della Cisgiordania, che il 30 ottobre è stato ucciso nel suo oliveto da un colono israeliano che gli ha sparato, mentre era lì con sua moglie e i suoi due bambini”.
“Pensate ai bambini delle uno e dell’altro: sarà difficile che questi bambini ricostruiscano la capacità di dialogare”, dice Petrini. “E allora noi dedichiamo la manifestazione a questi due martiri di Terra Madre, che qui ogni due anni sperimentavano il dialogo: magari con sofferenza, magari con difficoltà, ma almeno ci provavano”.
Terra Madre diventa così, nel senso che gli vuole dare il suo portavoce più importante, “n incontro che sintetizza nella sua essenza il senso della pace. La pace senza il dialogo, senza l’ascolto, senza il rispetto della diversità non esiste. Questo è luogo di pace perché qui sono arrivati fa tutto il mondo per trovare questo dialogo”.