La storia e l’antifascismo secondo il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che non vuole dirsi apertamente antifascista perché, in fondo, quella parola lì è legata a violenza e morte. Eccolo, riassunto velocemente, il senso delle parole pronunciate da Lollo, ospite a In mezz’ora su Rai3, chiamato a pronunciarsi sulla questione dello stop al monologo sul 25 aprile di Antonio Scurati e sulla conseguente occasione mancata della presidente Giorgia Meloni di smentire ogni coinvolgimento dichiarandosi finalmente antifascista. E invece no, la presidente ha preferito farne una questione di budget, sostenendo che i 1800 euro che la Rai avrebbe dovuto dare a Scurati per leggere il suo testo erano troppi, lo stipendio mensile di un lavoratore qualsiasi.
Peggio di questa spiegazione ha potuto fare il cognato di Giorgia Meloni, il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che più di una volta è uscito fuori dalle sue competenze per comportarsi come il portavoce del governo (costringendoci pure a raccogliere le sue esternazioni per non dimenticarle), salvo poi dirsi un semplice esperto di agricoltura, e quindi titolato a parlare solo su quei temi, quando non aveva voglia di rispondere alle domande che gli venivano rivolte. Non è questo il caso: sull’antifascismo Lollo ha voluto fortemente ribadire la sua, spiegando alla Nazione perché né lui né sua cognata, la presidente del Consiglio, hanno voglia di rinnegare pubblicamente il Ventennio con una parola che li ponga contro il periodo storico più buio dell’Italia.
Cosa ha detto Lollobrigida su Rai3
“C’è qualche dubbio?”: esordisce così Lollobrigida quando gli viene chiesto del suo antifascismo, o di quello del Governo di cui fa parte. E sì, qualche dubbio c’è, vista la generale difficoltà di pronunciare la parolina magica proprio in vista del 25 aprile. Siete o no antifascisti, caro ministro? “La Costituzione è strutturalmente antifascista e noi giuriamo sulla Costituzione”, dice Lollobrigida, spiegando che se “la definizione antifascista diventa anche oggi difficilmente rappresentativa di tutti” è perché “la violenza perpetrata da chi ancora si dichiara antifascista non ci appartiene”.
Fascisti no, ma antifascisti neanche. Lollobrigida e Meloni stanno lì, nel mezzo, rinnegando i totalitarismi tutti e la violenza tutta, un po’ come le Miss che vogliono genericamente la pace nel mondo, e cosa si può dire di male contro chi vuole la pace nel mondo. L’antifascismo – sostiene Lollobrigida, in una ricostruzione storica quantomeno colorita – ha portato negli anni a violenza e morte, mentre lui – e Giorgia Meloni – si riconoscono invece nella “lungimiranza dei padri costituenti che crearono una costituzione che difende la libertà ed evita ogni deriva di violenza, ogni diseguaglianza sociale”. Questo, prosegue Lollobrigida “è il valore fondante di chi si dichiara antitotalitarista, e quindi antifascista”.
E per rafforzare la sua affermazione sui morti per antifascismo cita Sergio Ramelli, un ragazzo di 17 anni ucciso da militanti di Avanguardia Operaia per aver scritto un tema che lo aveva portato a essere additato come fascista. Erano gli Anni di Piombo, anni in cui si veniva picchiati a sangue per un tema. Anni da condannare in tutte le loro espressioni violente ed estremiste, senza se e senza ma, ma che non cancellano ciò che fu dal 1922 al 1943. Un ventennio che – almeno così pare – il Governo trova ogni scusa possibile per non rinnegare apertamente. L’antifascismo, conclude Lollobrigida, è un termine “troppo generico” per indicare il modo in cui lui, la presidente e tutti gli altri sono contro ogni totalitarismo. Tutt’altro, verrebbe da dire. È invece un termine molto specifico, che rinnega quel totalitarismo prima di ogni altro, riconoscendo che nessun altro come quel totalitarismo è stata una piaga per il nostro Paese. Ed è proprio questo, sembrerebbe, quello che non riesce a fare il Ministro Lollobrigida.