Che le parole abbiano un potere, o più banalmente anche solo un peso, dovrebbe essere chiaro a tutti. Ci sono parole, ad esempio, che definiscono e ridefiniscono la nostra percezione delle cose – una falla che è stata puntualmente abusata nel contesto della carne coltivata, a più riprese presentata come “sintetica” o “da laboratorio” nel lessico tipicamente coldirettiano. Ci sono anche parole che reggono l’identità stessa di un Paese, o meglio dovrebbero. Prendiamo un po’ “antifascista”, tanto per fare un esempio: l’Italia lo è – o meglio lo dovrebbe essere – fin nelle sue ossa: antifascista a livello costituzionale, si potrebbe – o meglio si dovrebbe – dire. Vien da chiedersi, dunque, quali “disordini” o “problemi di ordine pubblico” abbia previsto la sindaca di Rosà quando ha deciso di vietare una pastasciuttata antifascista nel suo comune.
Niente pastasciutta antifascista a Rosà
La (amara) verità è che possiamo immaginarceli benissimo e limpidamente, i problemi e i disordini di cui sopra. Ma facciamo una breve marcia indietro, e cerchiamo di mettere un po’ di ordine, che immaginiamo alcuni di voi potrebbero essere un poco colti in fallo dell’idea di “pastasciutta antifascista“. L’evento era infatti stato organizzato con l’intento di commemorare i sette fratelli Cervi: nell’ormai lontano 1943 il capofamiglia, noto antifascista a Gattatico nel reggiano, decise di offrire a tutti i suoi compaesani un piatto di pastasciutta per festeggiare la caduta del destituzione di Benito Mussolini. Una manciata di mesi più tardi, tuttavia, i suoi sette figli furono catturati dai fascisti e giustiziati.
A organizzare il tutto i volontari di Cucine Popolari e Anpi: “È una giornata speciale, di valori attualissimi” ha commentato a tal proposito il fondatore di Cucine Popolari, Roberto Morgantini “vista la situazione è indispensabile che ognuno assuma la propria responsabilità e scelga di stare dalla parte dell’antifascismo. Si dichiarano tutti antifascisti, quindi è una prova di democrazia, che aiuta la democrazia”.
Beh, non proprio tutti, come accennato in apertura di articolo. Nel comune di Rosà (provincia di Vicenza), infatti, la pasta è rimasta nel pentolone – anzi, non è nemmeno stata messa a bollire l’acqua. La sindaca Elena Mezzalira ha risposto alle sezioni locali dell’Anpi vietando la pastasciutta antifascista in quanto il suo nome “può essere un richiamo di disordini e di problemi di sicurezza e ordine pubblico”. A una manciata di chilometri di distanza, a Porto Burci, il Movimento Italia Sociale (MIS) ha invece affisso uno striscione con la scritta “Se manca olio, lo portiamo noi”.
Lo striscione è già stato sequestrato dalla Digos e verrà opportunatamente segnalato all’autorità giudiziaria. Il torbido rifiuto della sindaca di Rosà, invece, è stato denunciato dall’Anpi – “Noi non smetteremo di denunciare alle autorità competenti e di diffondere unità e cultura antifasciste”, si legge – e attirato l’attenzione della consigliera regionale del Pd, Chiara Luisetto: “Una censura” ha spiegato “in violazione di ogni principio democratico e repubblicano. Una scelta che è di censura nei confronti di chi vuole giustamente coltivare il ricordo di quel 25 luglio del 1943. Una data che, al pari del 25 aprile, segna una svolta storica, sulla strada che condusse all’Italia repubblicana”.