Secondo il New York Times è l’America la Capitale mondiale della pizza: e se avessero ragione?

Non c'è molto da discutere su quanto affermato dal New York Times: il ragionamento sulla pizza americana non fa una piega, e gli italiani dovrebbero mettersi il cuore in pace.

Secondo il New York Times è l’America la Capitale mondiale della pizza: e se avessero ragione?

C’è un titolo del New York Times che sta facendo discutere qua e là, soprattutto (e prevedibilmente) molti italiani: “How America Became the Capital of Great Pizza” ovvero “come l’America è diventata la Capitale della pizza buona”, ecco le parole che stanno risuonando in mezzo mondo. Ci sarebbe da argomentare all’infinito ma, lato nostro italico, l’ideale sarebbe accettare che non possediamo il Verbo su qualsiasi cosa e che anche altri Paesi possono eccellere in cose che crediamo ci appartengano di diritto.

La pizza, ma anche il caffè, e la “buona cucina” in generale: troppo dispersivo il passato per muovere pretese di supremazia e troppe le culture da scoprire e da cui imparare. Ragioniamo allora su quanto dichiarato dal Times (il Times, non Cioè), cercando di capire cosa l’abbia spinto a dedicare agli States un’ode sulla tonda pop.

Bravura, ma è questione di statistica

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L’articolo del quotidiano statunitense apre con un assioma: dall’inizio degli anni 2000, la varietà e la qualità della pizza preparata da chef ambiziosi in tutto il Paese sono solo migliorate. In più, si legge, “tutte quelle basi elaborate, con le croste gonfie, rametti di basilico e gocce di miele caldo, hanno insegnato agli americani che potevano chiedere di più a un piatto mangiato abitualmente da una scatola di cartone”.  Insomma per il Times il potenziale c’è sempre stato e negli ultimi vent’anni gli americani se ne sono resi conto.

La terza edizione di Pizza Bit Competition ha i suoi primi tre finalisti La terza edizione di Pizza Bit Competition ha i suoi primi tre finalisti

Oltre al potenziale, tuttavia, i costi affatto proibitivi per aprire nuove pizzerie e la facile reperibilità di informazioni utili per imparare a far la pizza migliore (internet, Social Network, ma anche la possibilità di viaggiare) hanno contribuito a diffondere la cultura della pizza negli States. Statisticamente, dunque, risulta più semplice trovarne di eccellenti. Il Times ha riportato la testimonianza di Chris Bianco, che nel 1988 ha aperto negli States la celeberrima Pizzeria Bianco diventando un guru della pizza (tanto da essere il protagonista di una puntata di Chef’s table Pizza, su Netflix, insieme a Franco Pepe e altri big): “fino a poco tempo fa, gli chef che cercavano di preparare sublimi pizze napoletane avevano poche opzioni oltre a viaggiare in Italia. Oggi basta studiare e puoi portare un’ottima pizza in qualsiasi città, ovunque”. Si tratta di un punto di vista molto razionale, dopotutto.

Comunque la pizza napoletana ne esce benissimo

Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine: la maggior parte della gente legge solamente il titolo e decide quindi di dedicare tutte le energie a criticare un’argomentazione incompleta. Soffermandosi bene sulle affermazioni del Times, non si può fare a meno di notare come la pizza napoletana sia sempre esaltata e resa termine di paragone assoluto.

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Quindi calmi tutti: il New York Times ha solamente proposto un ragionamento su uno spaccato generazionale in America, senza giudicare in maniera assoluta né altri Paesi né la pizza in sé. Cosa che, invece, gli italiani fanno puntualmente: basti pensare a come, fino a cinquant’anni fa, i napoletani ora tanto orgogliosi declassavano la pizza a poverata cattiva da mangiare.

Fonte: New York Times
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