Nella migliore delle occasioni il rischio di scegliere un drink low o no alcol a un aperitivo è di essere additato come guastafeste. Nella peggiore si è nemici della patria, e tocca pure sorbirsi il pippone sulla presunta morte delle tradizioni e sulla demonizzazione del vino e degli alcolici tutti. Esageriamo? Forse. Eppure la scienza ci dà ragione.
Una ricerca condotta da Ipsos, Università di Oxford e Heineken afferma che il mercato delle varianti a basso o nullo contenuto alcolico sono in crescita (e fin qui nessuna novità), ma ci sono “importanti ostacoli da superare”. Uno su tutti: quella pressione sociale che ci ha portato a tollerare con spiccata spacconeria l’alzare troppo il gomito.
“Ma dai, divertiti un po’!”
I nostri amici d’Oltremanica (o d’Oltreoceano) la chiamerebbero peer pressure, ma da questa parte delle Alpi la potremmo definire come una vaga declinazione della mentalità da branco. Come accennato in apertura di articolo: se all’aperitivo scegli l’analcolico sei un po’ lo scemo del villaggio, e l’istinto che ci ha portato a vivere in tribù per evitare le tigri a denti a sciabola ci suggerisce che essere lo scemo del villaggio è potenzialmente una brutta cosa. Peccato che le tigri a denti a sciabola non esistano più.
Ma non divaghiamo: parola alla scienza. Lo studio in questione ha preso in esame oltre 11.800 persone nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Spagna, Giappone e Brasile, e rivelato che più dell’80% degli intervistati ritiene che bere bevande NoLo (no & low alcohol, per l’appunto) sia più socialmente accettabile rispetto a un tempo. Ma c’è un “ma”.
Secondo Charles Spence, professore di psicologia sperimentale all’Università di Oxford che ha analizzato la ricerca, c’è un divario significativo tra l’opinione e l’effettiva azione degli intervistati. I dati parlano chiaro: un intervistato su sette (il 14%) ha affermato che sembra sempre finire per bere alcolici nelle occasioni sociali nonostante intenda consumare opzioni NoLo, e questa percentuale sale addirittura al 51% includendo coloro che hanno ammesso che cambiano le proprie idee di consumo in base al contesto sociale in cui si trovano.
Di nuovo: ci si “censura”, per così dire, per compiacere il paradigma dominante, che di fatto è ancora quello che associa l’alzare il gomito al divertimento. Tornando ai dati dello studio, è emerso che più di un terzo dei bevitori della Gen Z si è sentito obbligato a consumare alcol in determinate situazioni sociali; e più di uno su cinque (21%) ha affermato di essere stato criticato per la scelta di una bevanda analcolica. La media più generale è invece del 15%.
L’interesse per le declinazioni a contenuto alcolico basso o nullo è ai massimi storici, e tra i sintomi più eloquenti c’è anche e soprattutto il fatto che il governo, storicamente arroccato su posizioni più tradizionaliste, abbia recentemente aperto alla produzione di vino dealcolato. Insomma: c’è chiaramente la necessità di accodarsi a un settore che promette fermento e fertilità. Si riuscirà, però, a vincere la paura delle tigri a denti a sciabola?