Niente delivery il giorno di San Valentino – almeno dall’altra parte della Manica, ecco: tocca alzarsi dal divano e abbandonare coperte, coccole e l’abbraccio del nostro compagno e compagna per mettere su qualcosa da mangiare (o uscire a cena, beninteso). Il motivo è semplice: i rider inglesi hanno colto l’occasione per fare sciopero e chiedere salari più alti per quello che, al netto della comodità percepita dai consumatori, è un lavoro che implica fatica, ritmi serrati e un evidente grado di pericolo.
Si tratta, tanto per intenderci, della cosiddetta questione rider: un mosaico composto da condizioni lavorative precarie e pericolose, spesso e volentieri intorbidite da pratiche tutt’altro che limpide come il tracciamento anche al di fuori dell’orario di lavoro e l’assegnazione di “punteggi d’eccellenza” già riconosciuti dalle autorità giudiziarie come discriminatori. Un mosaico che, per inciso, viene più o meno tacitamente accettato e accolto nel sacro nome della comodità.
Sciopero dei rider nel Regno Unito: le parole (e i numeri!) dell’organizzatore
Scioperi come quello appena organizzato per San Valentino in Inghilterra sono lampi che dovrebbero risvegliare la consapevolezza di quanto visto fino a ora; ed è degno di nota, rimanendo in questo contesto, il fatto che il The Guardian abbia deciso di permettere a uno degli organizzatori dello sciopero in questione di esporre ragioni, timori e denunce sulle proprie pagine.
“Ecco perché siamo in sciopero nel Regno Unito”, si legge in un articolo apparso nelle ultime ore sul giornale inglese. L’autore del pezzo, come accennato nelle righe precedenti, si presenta come uno degli organizzatori del movimento di protesta. Il contenuto va dritto al punto: “Vivo nel sud di Londra” scrive il nostro protagonista, che ha comprensibilmente preferito rimanere anonimo. “Trascorro gran parte della giornata in viaggio. Percorro 80 miglia al giorno sul mio motorino per 9-10 ore e di solito guadagno meno del salario minimo al netto dei costi”.
Ecco affacciarsi poi uno dei problemi più annosi della questione rider – l’inquadramento lavorativo. “Poiché sono un lavoratore autonomo, non ho una retribuzione base garantita. Invece, ricevo tariffe variabili per ogni consegna in base alla distanza e ad altri fattori”. Nulla di nuovo, a onore del vero, per chi è vicino al mondo del delivery; ma è comunque bene approfittare dell’occasione per sottolineare l’apparentemente ovvio.
L’autore accompagna le parole ai dati che, come potrete immaginare, sono impietosi. “Provo a fare tre ordini all’ora e in media faccio circa 10 sterline prima dei costi. A volte guadagno di meno, più o meno 7 sterline” si legge nell’articolo. Costi che nel caso del nostro centauro anonimo sono relativamente contenuti – “circa £ 3 tra benzina, assicurazione, manutenzione e altri costi per ogni ora di lavoro” -, ma comunque sufficienti a intaccare vistosamente una retribuzione già magra. I conti non mentono: “Devo guadagnare quasi 14 sterline solo per guadagnare l’equivalente del salario minimo”.
“Lavoro sei giorni alla settimana. In una giornata normale si tratta dalle 7:00 alle 10:00, da mezzogiorno alle 15:00 e dalle 17:00 alle 21:00. Sono così stanco che devo andare a casa a fare un pisolino tra pranzo e cena”. E come la mettiamo con la tanto ammirabile flessibilità, spesso sventagliata come asso di convenienza dalle app di delivery? Un’illusione. “Non c’è affatto flessibilità: devi lavorare nelle ore di punta, altrimenti non guadagni abbastanza soldi”.
I numeri sono utili per inquadrare la situazione, ma potrebbero fallire nell’evidenziare tutte quelle problematiche che a onore del vero eludono il cerchio di esattezza della matematica: “Ci sono molte cose che aumentano lo stress” spiega ad esempio l’autore dell’articolo. “L’unico modo per guadagnare di più è guidare più velocemente, il che significa correre più rischi. Puoi guadagnare qualche sterlina in più l’ora se sei disposto a rischiare la vita”. Il delivery: un mondo che ha subito una fortissima impennata nel periodo pandemico, e che a oggi assomiglia sempre più a uno spietato esperimento sociale. Per quanto tempo saremo disposti a girarci dall’altra parte nel nome della comodità?