L’affaire gastro-scandalistico di fine estate su queste pagine è fin troppo noto:
il telechef Simone Rugiati posta un video sostenendo che al Sushi Su di Padova a momenti lo intossicano; il tristellato Massimiliano Alajmo prende le difese di Sushi Su e commenta che il video è inverecondo; Massimiliano Liggieri, proprietario di Sushi Su, intenta causa a Rugiati, che – dichiara perfidamente – “sembrava essere sopra le righe.”
Della vicenda in termini cronistici potete leggere abbondantemente su Dissapore.
Quel che invece personalmente trovo interessante, al netto dell’episodio specifico, è la domanda: i cuochi possono parlare male dei colleghi? E possono farlo in pubblico?
E’ un tema che vale per tutte le categorie –maestri di latinoamericana o magistrati, gommisti o giornalisti– e quella della cuochi non fa certo eccezione.
A me piacciono quelli che non lo fanno.
E ammiro molto gli chef che spendono buone parole per i propri pari: è segno di umiltà, di equilibrio, di serenità. A proposito di quelli che non apprezzano, sono laconici, tipo “non è il mio modo di lavorare” e finita lì.
I cuochi hanno già tanti giudizi puntati addosso: clienti, social, Tripadvisor, giornalisti, ASL, critici, fornitori, consulenti, pierre.
Di questi parano quotidianamente i colpi. Ma esser feriti da fuoco amico è la cosa più dolorosa – e sciocca – che c’è.