Hanno braccia meccaniche, vantano una precisione assoluta e sono perfino in grado di chiacchierare del più e del meno: ci stiamo riferendo ai robot declinati per l’impiego nel settore dell’agroalimentare, pionieri di un settore in sempre più rapida espansione che ci fa sentire piccoli, brutti, incapaci e soprattutto penosamente biodegradabili. Secondo quanto emerso dal più recente rapporto World Robotics diffuso dall’International Federation of Robotics, infatti, le installazioni di questi particolari macchinari nel contesto del food and beverage italiano sono di fatto cresciute del 18% nel corso del 2021, dopo aver raggiunto (e scavalcato) la quota delle mille unità complessive nel 2019.
Dovremmo preoccuparci? Ni: se è pur vero che alcuni visionari mostrano tendenze vagamente sociopatiche – sì Mike Bell, ci stiamo riferendo proprio a te -, si tratta comunque di un passo in avanti per un settore che tradizionalmente è caratterizzato da turni lunghi ed estenuanti e una mancanza di personale sempre più cronica. Chiaramente far combaciare domanda e offerta, declinando eventuali costi e soprattutto tenendo conto dell’aspetto etico è roba da saga fantasy, ma sforziamoci di vedere il bicchiere mezzo pieno.
L’Italia, per di più, è il secondo mercato di robot più ampio in Europa dopo la Germania. “A portare i risultati del 2021 sono stati gli effetti del recupero dalla pandemia di Covid-19 e gli acquisti precedenti dovuti a una riduzione dei crediti d’imposta nel 2022” ha commentato a tal proposito Marina Bill, presidente della Federazione internazionale di robotica. “Il Paese aveva visto diversi anni di forte crescita e la pandemia non ha ostacolato la domanda di robot”.